Il coronavirus sta facendo a pezzi l’economia italiana e ormai i dati che lo confermano arrivano da tutte le parti. L’ultimo è quello sulla produzione industriale, con la fotografia che è datata febbraio, dunque ben prima del totale lockdown, ma che già registra una flessione del 2,4% anno su anno secondo l’Istat, dopo che invece a gennaio c’era stato un boom del +3,7%. C’è da scommettere che la situazione peggiorerà pesantemente nel trimestre dopo la chiusura, dal 23 del mese di marzo, di attività industriali corrispondenti al 48% della produzione, e con la restante parte delle aziende che ha lavorato a ritmi assai ridotti, con poche eccezioni (alimentare e farmaceutico).
Il Centro studi di Intesa Sanpaolo prevede una flessione della produzione nel primo trimestre 2020 nell’ordine del 6% rispetto all’ultimo trimestre 2019, quindi una performance ai minimi da inizio 2009. Tornando alla produzione industriale di febbraio, i settori di attività economica che registrano i maggiori incrementi tendenziali sono la fabbricazione di coke e prodotti petroliferi raffinati (+8,3%) che hanno beneficiato del calo dei prezzi del petrolio, l’industria del legno, della carta e stampa (+6,0%) e le altre industrie(+5,7%). Le flessioni più ampie si registrano invece nelle industrie tessili, abbigliamento e pelli (-12,1%), nella fornitura di energia elettrica, gas, vapore e acqua (-6,2%) e nella fabbricazione di mezzi di trasporto (-3,7%).
PIL
Ma il dato sulla produzione industriale, che pur è parecchio indicativo, è solo una parte, probabilmente la più significativa, di un crollo generale, dai consumi al turismo. L’ultimo dato che stima l’impatto sul Pil è quello dello Svimez, secondo il quale il lockdown da coronavirus ci sta costando 47 miliardi al mese, pari al 3,1% del Pil. Secondo l’associazione che si dedica allo sviluppo del Mezzogiorno, a pagare il conto sarà soprattutto il Sud (perde 10 miliardi sui 47, ma in una situazione già recessiva), e nel 2020 il prodotto interno lordo italiano perderà l’8,4%. La stima mensile è in linea con quella pubblicata ad inizio aprile da REF Ricerche, il centro studi di Confindustria, secondo il quale ogni mese che passiamo con le attività ferme ci costa esattamente 3 punti percentuali di Pil. Per quanto riguarda il pronostico annuale, è ancora più severo quello di Goldman Sachs, che prevede un tonfo a doppia cifra, dell’11,6% nel 2020, per poi risalire solo parzialmente del 7,9% nel 2021. Confindustria stima un -10% nel primo semestre e un -6% nell’anno.
CONSUMI
Uno dei dati più pesanti è quello relativo ai consumi. Secondo Confesercenti il primo mese di lockdown (12 marzo-13 aprile) costerà all’Italia 35 miliardi di consumi e ha già bruciato ad inizio aprile 55 miliardi di Pil: per l’associazione dei commercianti la contrazione dei consumi potrebbe arrivare a 83 miliardi con il prolungamento (quasi sicuro) delle misure restrittive, il che porterebbe il Pil a perdere il 9% nel 2020. L’Istat invece ha stimato che in uno scenario “caratterizzato dall’estensione delle misure restrittive anche ai mesi di maggio e giugno”, la riduzione dei consumi sarebbe del 9,9%, con una contrazione complessiva del valore aggiunto pari al 4,5%. La limitazione delle attività produttive fino alla fine di aprile determinerebbe invece, su base annua, una riduzione dei consumi finali pari al 4,1%. Nello scenario peggiore, sarebbero poco meno di 900 mila gli occupati coinvolti, di cui 103 mila non regolari, per un totale di 20,8 miliardi di retribuzioni.