Che l’economia tedesca stia rallentando, è ormai un fatto. In particolare, sta rallentando il suo settore di punta – l’automotive – che vale un quinto dell’intero valore aggiunto manifatturiero teutonico (in Italia questo valore è pari al 5,8%, per fare un raffronto) e che nel periodo gennaio-agosto 2019 ha segnato un calo spaventoso di oltre l’11%. Quanto tutto questo incida sulla manifattura italiana, che è la seconda più importante dell’Europa (insieme, Roma e Berlino creano il 47% del valore aggiunto manifatturiero europeo) e che è legata a quella tedesca in molti settori tra cui l’auto, lo ha quantificato il centro studi di Intesa Sanpaolo, in collaborazione con Prometeia, nel Rapporto dei Settori Industriali: “Il cliente Germania – ha rivelato il chief economist della prima banca italiana, Gregorio De Felice – pesa circa il 20% sul valore aggiunto manifatturiero che l’Italia destina all’automotive mondiale. Una quota non trascurabile”.
Il ruolo dell’Italia è infatti particolarmente centrale, più di quello di altri Paesi anche grazie alla diversificazione delle proprie competenze e dunque delle forniture: spiccano infatti i contributi della filiera della metallurgia e della meccanica, ma anche degli altri intermedi (gomma/plastica) e del sistema Moda (tessile e pelletteria per interni auto). In particolare in questo ultimo settore il made in Italy incide ancora di più dello stesso contributo domestico tedesco, con una quota del 17,4% del valore aggiunto prodotto dall’automotive tedesco. “Complessivamente – spiega la ricerca – il nostro Paese apporta una quota di valore aggiunto del 2,4% alla produzione tedesca di autoveicoli”. Il che ci pone al primo posto tra i Paesi fornitori, persino davanti alla Cina, ovviamente dietro al 70% di contributo domestico tedesco.
INDUSTRIA ITALIANA: PREVISIONI GENERALI
Da questi dati emergono due considerazioni: la prima è che, come noto, le difficoltà dell’economia tedesca, che peraltro è anche la più esposta verso la minaccia di dazi verso il Regno Unito (a rischio quasi 20 miliardi di export), è un danno per l’economia italiana più ancora che per quelle di altri partner europei. La seconda è che la manifattura italiana, stando alle risultanze dell’analisi di Intesa Sanpaolo e Prometeia, è “sempre più diversificata, più resiliente e meno indebitata”. Il quadro del 2019 per la verità non è incoraggiante (fatturato stabile al +0,2%, contro una crescita che nel 2017 aveva superato il 4%), ma secondo le previsioni andrà meglio nel biennio 2020-2021, quando questo comparto che da solo genera 900 miliardi di fatturato tornerà a crescere in maniera più significativa, dell’1,3% medio annuo (a prezzi costanti).
Questo nonostante le incertezze che permangono sul fronte internazionale, come spiegato da De Felice: “Per quanto riguarda i dazi Usa-Cina ci sono spiragli, poi bisogna vedere cosa accade con l’Ue. Permane poi il regime di tassi di interesse molto bassi: Draghi ha lasciato a Christine Lagarde le redini della Bce dopo aver provato di tutto. Più di così Francoforte non poteva fare, ora toccherebbe ai Paesi adottare politiche di bilancio più espansive”. Anche perché gli spazi ci sono: l’Italia ha ridotto lo spread, ha rapporti migliori con l’Ue e sta migliorando lo stato di salute del proprio sistema bancario, grazie alla cessione dei crediti deteriorati che procede a buon ritmo. E se è vero che manca ancora la crescita, il Rapporto fa anche notare che il reddito disponibile delle famiglie cresce più del Pil: +1% nel 2020, contro +0,3% (secondo le stime di Intesa Sanpaolo).
“Ciò significa – ha spiegato De Felice – che la domanda domestica può sopperire al rallentamento dei flussi commerciali internazionali. La variabile chiave dei prossimi mesi e dei prossimi anni saranno gli investimenti: servono quelli privati, perché il saldo commerciale delle imprese italiane è salito a quasi 94 miliardi e quei soldi possono essere reinvestiti, e servono quelli pubblici, intanto perché attivano fondi europei che altrimenti resterebbero inutilizzati, e poi perché andrebbero a stimolare gli stessi investimenti privati”.
PREVISIONI SETTORE PER SETTORE
A fare la parte del leone nella manifattura italiana, che mai come in questo periodo si presenta eterogenea, con settori in grande spolvero ed altri in piena crisi, è decisamente la farmaceutica, che crescerà del 2,2% come media annua nel biennio 2020-2021, seguita dal largo consumo col +1,7% medio annuo. Il settore di punta in termini assoluti rimane la meccanica, che anche – come visto – per l’esposizione sul mercato tedesco crescerà in maniera più moderata (1,3%, come la media di tutta la manifattura), penalizzata ancora una volta dalla stagnazione degli investimenti, solo in parte controbilanciata dalle esportazioni che continuano invece a correre. Discrete prospettive anche per un altro grande driver del made in Italy, il Food&Beverage che salirà nel biennio di circa l’1% annuo.
Più incerta e sotto la media manifatturiera nazionale la prospettiva di crescita per gli elettrodomestici, che tuttavia dopo il quasi -2% del 2019 riprenderanno a salire intorno all’1% scarso. Fiacco anche il sistema Moda, dopo un 2019 al secondo posto dietro solo al largo consumo, mentre si riprenderanno chimica ed elettronica, storicamente settori non brillantissimi, che infatti nell’anno che si sta per concludere sono stati il fanalino di coda del panorama industriale italiano.