C’era una volta…
C’era una volta l’economia italiana che stupiva il mondo come succede oggi a quella cinese. Economisti di statura internazionale studiavano il “modellaccio” italiano, secondo la colorita definizione di Giorgio Fuà, per trarne delle linee da applicare alle economie stagnanti. L’eccezionalismo italiano era determinato dalla pervasività dei distretti industriali, aggregazioni di piccole e medie imprese specializzate in un settore manifatturiero specifico e distribuite su un territorio storicamente ben caratterizzato.
Le relazioni tra i soggetti economici di un distretto andavano ben oltre il mero carattere industriale e produttivo per ampliarsi ad aspetti della vita sociale e civile del territorio di appartenenza. Poi è successo quello che è successo e il motore dei distretti ha iniziato ad ingripparsi insieme alla perdita di dinamismo dei loro territori. I distretti potrebbero, però tornare, in auge con la nouvelle vague dell’Industria 4.0. Si tratta di uno scenario del tutto nuovo caratterizzato da forte innovazione e da una competizione che si fa veramente globale e si attua tramite veicoli inediti come le piattaforme e il network effect.
Di questo tema si occupa in un libro, breve ma intenso come quelli di Fuà, Fabio Menghini, allievo dell’economista anconitano. Menghini, infatti, insegna Strategia e Finanza nel Corso di Economia Finanziaria presso la Facoltà di Economia Giorgio Fuà. Il libro ospita anche un contributo di Marco Cucculelli, docente di Economia applicata all’Università politecnica delle Marche.
Dell’analisi e delle tesi avanzate in questo libro — dal titolo Industria 4.0. Imprese e distretti nella web economy. Percorsi per lo sviluppo della manifattura italiana — offriamo una breve sintesi scritta per il nostro blog dallo stesso autore.
Il piano Industria 4.0
Il programma Industry 4.0, annunciato per primo dalla Germania, ormai circa otto anni fa, ha trovato anche in Italia la sua attuazione nel Piano Nazionale Impresa 4.0, varato alla fine del 2016.
I primi risultati, resi noti di recente dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, appaiono incoraggianti. Nel nostro paese tuttavia, gli investimenti fissi rimangono sensibilmente al di sotto del livello precedente alla grande crisi economica ed è ancora troppo presto per comprendere se siamo di fronte ad una reale inversione di tendenza o all’effetto di semplici interventi di ammodernamento degli impianti. Questa differenza non è affatto secondaria, in quanto oggi il sistema economico italiano si sta giocando una doppia sfida.
La prima è quella di mostrare la volontà e la capacità di realizzare politiche di catch-up rispetto ai paesi industrialmente più avanzati dai quali l’Italia si è progressivamente allontanata.
La seconda appare per molti versi ancora più critica: riposizionare la nostra industria all’interno dei nuovi scenari che la cosiddetta quarta rivoluzione industriale, rappresentata dall’applicazione di Internet al mondo produttivo, sta prefigurando.
Ci soffermeremo di seguito su alcuni dei punti chiave che riguardano questa seconda sfida.
Infrastrutture e monopoli
Negli ultimi dieci-quindici anni, giganteschi monopoli sono sorti praticamente dal nulla, creando standard e infrastrutture a cui quasi tutti gli operatori mondiali si sono dovuti adeguare. Alcuni semplici esempi: Microsoft e Apple sono diventati i sistemi dominanti nel settore dell’informatica. Come Android e Iphone lo sono per quanto riguarda la telefonia. Dei primi dieci provider di cloud al mondo, nove sono americani (tra questi, naturalmente, Amazon, Microsoft, IBM, Google, ecc.) e solo uno tedesco: SAP.
Il quesito che oggi si pone riguarda se e come potranno continuare a competere imprese e paesi (Germania inclusa), dovendo ricorrere a standard e infrastrutture detenute da monopoli privati. Ciò infatti ha numerose implicazioni, peraltro non tutte ancora esplorate sufficientemente.
Quanto può incidere sulla forza concorrenziale di un’industria o di un paese non disporre del governo delle telecomunicazioni o di architetture e applicazioni software proprietarie? E in che modo i gruppi che detengono tali risorse potranno modificare o condizionare le direzioni della R&D, la qualità dei servizi offerti, le loro modalità di accesso e fruizione, il pricing? E che fare quando questi stessi player (come sta già accadendo) espandono il perimetro del loro business originario e diventano, in molte aree, concorrenti diretti?
È stata questa una delle ragioni che ha spinto la Germania a fare di Industry 4.0, il più importante programma di investimenti nazionali mai realizzato negli ultimi decenni.
La sfida delle web platform
A quanto appena detto si aggiunge un’ulteriore minaccia: l’affermazione delle web platform (finora conosciute nelle loro versioni social o B2C) come punto principale di snodo nelle relazioni tra imprese. Nella competizione tra le web platform,” vince chi sarà più in grado di sfruttare i vantaggi cumulativi del “network effect” e anche su questo terreno stiamo assistendo all’affermarsi di grandi operatori che non sono né tedeschi, né europei. U.S.A. e Cina fanno la parte del leone e hanno già raggiunto livelli di diffusione globali.
Ci riferiamo a piattaforme come Alibaba per indicare uno dei più grandi player in questo contesto, oppure a NetEase Kaola, sempre cinese. È evidente che l’affermazione delle web platform porta con sé un potere contrattuale gigantesco nei confronti delle aziende. Le quali ad esse sono costrette ad accedere per poter commercializzare i propri semi-lavorati o prodotti finiti.
Il piano Industry 4.0 tedesco e la sua estensione progressiva ad altri paesi europei, ha la finalità, anche in questo caso, di riequilibrare le forze in campo. Un’iniziativa estesa all’intera industria manifatturiera europea, forte di oltre due milioni di aziende e trenta milioni di addetti, potrebbe infatti consentire di creare la massa critica per la realizzazione di piattaforme europee, come pure nuovi standard di gestione e comunicazione tra imprese.
Ma intanto che dire delle singole imprese che fronteggiano da sole le global web platform? L’Italia per prima, considerata la prevalenza di piccole aziende, deve individuare con urgenza interventi che tutelino e salvaguardino i nostri produttori nei confronti dei colossi mondiali della nuova digital economy.
Verso nuove localizzazioni
Infine, mentre la dislocazione dei sistemi di produzione ha ormai raggiunto dimensioni globali, i vantaggi competitivi sembrano assumere connotati sempre più territoriali. Ci riferiamo a localizzazioni dove si può disporre di competenze, risorse, fornitori, mano d’opera qualificata e istituzioni efficienti. In una parola di un ecosistema capace di generare innovazione e leadership. Qui sta la fonte principale del valore aggiunto di un prodotto. Il resto viene commissionato attraverso le web platform e le supply chain dove, di volta in volta, il costo dei fattori è minore o si ottengono, grazie al potere negoziale raggiunto, le condizioni contrattuali migliori.
Sorge il dubbio che l’Italia abbia troppo frettolosamente archiviato la straordinaria esperienza dei distretti, i quali hanno trainato lo sviluppo economico del secolo scorso.
Viene da ripensare a questo proposito a quanto Porter affermava già parecchi anni fa: nuovi settori di successo e nuovi cluster sorgono da altri già esistenti. Nuove attività basate su tecnologie avanzate non si affermano partendo dal niente, ma dove già esiste una base di attività, dei vantaggi localizzativi, i germi per un nuovo cluster.
Un caso recente sembra confermarlo: una start up italiana sta aprendo un nuovo stabilimento per la produzione di polveri metalliche che servono ad alimentare le stampanti 3D. Sarà basata a Terni, per sfruttare le competenze esistenti in quell’area da sempre a vocazione metallurgica.
È necessario riflettere seriamente su questi temi. Con il pieno dispiegarsi della forza competitiva della sua industria, la Germania già oggi esercita una formidabile capacità di attrazione. L’effetto che ciò potrà avere sull’industria italiana e su quel che resta dei nostri distretti, andrebbe tenuto nella massima considerazione.
Industria 4.0, Italia e Germania
La Germania e l’UE stanno agendo con decisione su Industry 4.0 per dotare le aziende di quei mezzi che possano consentire di difendere le proprie quote di mercato in uno scenario, quello digitale, dove le concentrazioni di mercato tendono ad accrescersi e le tradizionali traiettorie geografiche a modificarsi.
Su questi terreni si prefigura lo scenario di una contestuale cooperazione e competizione tra paesi europei. Germania in primo luogo, che su Industria 4.0 sta investendo assai più dell’Italia e con chiari obiettivi di indipendenza e leadership globale.
È indispensabile creare in tale contesto gli spazi necessari per garantire all’industria manifatturiera italiana un ruolo non subordinato. Esistono molte singole realtà imprenditoriali che competono oggi nei mercati più evoluti e con le tecnologie più innovative.
Troppo spesso affrontano da sole queste sfide. Da esse si dovrebbe partire. Per affiancarle nella ricerca e sviluppo di base (non affrontabile da singole aziende), per realizzare processi di progressivo consolidamento e aumentare così le dimensioni di azienda, per consentire la diffusione di conoscenze, la formazione di risorse, competenze e infrastrutture adeguate. Possibilmente, come si è ricordato, partendo dai vecchi distretti e dalle competenze ancora là custodite.