Come indicato nel focus pubblicato da Intesa Sanpaolo, sul piano globale l’India detiene una posizione interessante per l’export di alcune categorie merceologiche tradizionali, come la lavorazione di pietre e metalli preziosi, tessile e abbigliamento e veicoli. Negli ultimi anni la struttura produttiva indiana ha visto uno sviluppo intenso, sostenuta sia dalla domanda mondiale che da quella interna, grazie al miglioramento del reddito disponibile della popolazione. In questo contesto, dall’essere un paese sostanzialmente legato alle lavorazioni tradizionali, l’industria indiana si è indirizzata verso una gamma di lavorazioni più completa, che va dalla chimica alla siderurgia, dalla meccanica alla tecnologia più sofisticata. Inoltre, la disponibilità di mano d’opera qualificata, con conoscenza della lingua inglese e a basso costo, ha incentivato la de-localizzazione nel paese di parte del processo produttivo da parte di imprese straniere. Ecco allora che i settori più importanti della manifattura indiana sono rappresentati della lavorazione dei metalli (15%), chimica e derivati (13,3%), tessile e abbigliamento (13%), macchine e macchinari, sia meccanici che elettrici (10,1%), alimentari e tabacco (11,7%), mezzi di trasporto (7,8%).
Dando uno sguardo settore per settore, siderurgia e metallurgia si basano principalmente sulla lavorazione di ferro e acciaio. Il processo di privatizzazione del settore, accelerato nel quinquennio 2006-11, ha consentito di ridurre l’incidenza pubblica da 36,5% nel 2006 a circa 25% nel 2011. Risulta importante anche la produzione di ghisa, cresciuta anch’essa considerevolmente dopo il processo di liberalizzazione, tanto che attualmente circa il 90% della produzione di ghisa avviene in industrie private. Il solo settore dell’acciaio contribuisce al 2% del PIL e, secondo fonti governative, dovrebbe riuscire a raccogliere investimenti per quasi 175 miliardi di dollari entro il 2020. Il comparto di chimica e derivati è diventato uno dei settori più diversificati e importanti del secondario indiano, contribuendo per circa il 3% del PIL, subendo un’importante evoluzione e passando da semplice produttore di prodotti della chimica di base a più evoluti e innovativi composti, quali farmaceutica e biotecnologie, grazie anche a investimenti mirati alla ricerca. Il tessile e l’abbigliamento fanno parte della storia dell’industria indiana, sebbene anche questo settore abbia avuto negli ultimi anni una notevole trasformazione, passando da un contesto di riferimento locale a uno aperto, diventando un importante tassello nella filiera internazionale. I principali comparti del tessile sono quelli legati alla lavorazione e produzione di filati e di tessuti, come cotone, lana, seta, juta, viscosa, filati acrilici, oltre alla creazione di abbigliamento. I macchinari, sia meccanici che elettrici, interessano non solo l’industria leggera ma anche quella pesante e consentono di rifornire non solo il secondario, ma anche di realizzare molte infrastrutture, provvedendo ai beni capitali necessari allo svolgimento della loro attività. Senza dimenticare numerosi macchinari specifici destinati a particolari comparti, come tessile, cemento, alimentare, gomma, estrazione mineraria, lavorazione di pietre, metallurgia e siderurgia. L’industria alimentare appare come uno dei settori che offrono i più ampi spazi di crescita nei prossimi anni, grazie non solo all’espansione demografica interna, alla vasta dotazione agricola, ma anche agli stimoli governativi attuati negli ultimi anni. Sono state, infatti, introdotte sia agevolazioni fiscali alla produzione, alla commercializzazione e all’export di prodotti agro-alimentari, che agenzie governative volte a garantire standard internazionali di igiene e sicurezza alimentare (le principali sono APEDA – Agricultural Processed Food Products Export Development Authority e MPEDA – Marine Products Export Development Authority). Il collegamento con l’agricoltura, sempre più diversificata, meccanizzata ed efficiente, permette di valorizzare i prodotti, ridurre gli scarti, creare occupazione e incrementare la diffusione sui mercati internazionali. L’industria automobilistica e dei mezzi di trasporto assume non solo una notevole rilevanza nel contesto nazionale, ma permette al paese di collocarsi tra i primi produttori mondiali, sia di auto che di veicoli commerciali, industriali, speciali, destinati a trasporti particolari, agricoli, a due, a quattro o a più ruote. L’India è, infatti, il secondo produttore mondiale di mezzi a due ruote, il quinto di veicoli commerciali, il primo di trattori, in nono di autovetture. Il basso costo di produzione dell’acciaio, gli investimenti nella ricerca, la crescita demografica ed economica offrono un mercato interno in continua crescita, che ha indubbiamente ancora ampi spazi di sviluppo. Da segnalare infine l’importanza dell’industria cinematografica, la più grande al mondo con tre città del cinema e più di 25 studi cinematografici, che realizza migliaia di film all’anno destinati per lo più unicamente al mercato locale.
Lo stock di IDE in India nel 2011 era pari, secondo UNCTAD, a circa 202 mld, poco più del 10% del PIL prodotto nell’anno. Questa percentuale risulta essere inferiore a quanto rilevato in Brasile (28%) e in Russia (25%), ma è simile rispetto alla Cina (10%). Sul totale mondiale l’India copriva nel 2011 solamente l’1% di tutti gli IDE investiti, dove continuano a pesare l’eccessiva burocrazia e la sovrapposizione di competenze tra i vari governi locali e quello centrale, oltre alla struttura industriale stessa del paese, costituita in prevalenza da PMI. Rimangono numerosi i settori riservati alla competenza statale (energia) o che hanno limitazioni (nel settore dei servizi finanziari e assicurativi le partecipazioni estere hanno un tetto del 26% del capitale sociale). Il Governo ha dichiarato che intende aprire agli IDE l’importante settore delle infrastrutture, secondo la formula della Private-Public Partnership e con operazioni Build-Operate-Transfer (BOT)1, oltre che con concessioni dirette.
Le Mauritius sono apparentemente il principale investitore: si tratta in realtà di flussi di investimenti provenienti da altri paesi, transitati da questa regione per motivi fiscali. Grazie ad accordi bilaterali tra l’India e le Mauritius esistono, infatti, vantaggi fiscali per le imprese con sede legale nel territorio insulare dell’Oceano Indiano a investire in India. Nella graduatoria dei maggiori paesi d’origine degli IDE seguono in ordine di rilevanza Singapore, Regno Unito e Giappone. L’Italia non sembra rivestire una posizione rilevante dalle statistiche, con una quota sul totale investito nel periodo di circa lo 0,6%. Nella destinazione merceologica degli IDE si nota una netta prevalenza del comparto dei servizi (con una quota del 19% dei flussi entrati dall’aprile 2000 al febbraio 2013), seguito da costruzioni (12%), telecomunicazioni (7%), computer e macchinari per uffici (6%) e farmaceutica (5%). Dal 2005 sono state inoltre istituite Zone Speciali, volte a incentivare gli investimenti stranieri tramite lo sviluppo di particolari comparti industriali e favorire l’esportazione. Attualmente ne sono operative circa 400: alcune di esse possono riguardare più fasi produttive o più settori, complementari o anche non complementari tra loro.
Secondo il Ministero degli Affari Esteri italiano erano presenti, alla fine del 2011, complessivamente circa 330 imprese italiane. La maggior parte si colloca nella manifattura, in particolare nel settore automobilistico (16%), nei macchinari (15%) e nel tessile e abbigliamento (12%). I servizi rappresentano circa il 20% del totale, e riguardano principalmente trasporti, consulenza, servizi finanziari. Attorno al 12% anche le presenze nel settore dell’ingegneristica, infrastrutture e costruzioni. Le principali aree geografiche di insediamento delle imprese italiane in India sembrano essere i poli industriali di Delhi-Gurgaon-Noida e di Mumbai-Pune, seguono le città di Chennai, Bangalore e Calcutta. Secondo le previsioni MEA, il Gujarat diventerà un nuovo importante polo di attrazione di investimenti produttivi, nazionali e stranieri, grazie alla politica di facilitazione degli investimenti e al buon stato delle infrastrutture.
Il MAE identifica alcuni importanti settori merceologici per i quali vi sono ampi spazi di crescita sia dal punto di vista commerciale che di investimento in India. Oltre ai tradizionali comparti dell’export italiano, vengono segnalati i settori dell’agro-alimentare, della difesa (soprattutto per quanto riguarda la marina, l’aeronautica e l’elettronica applicata), della componentistica per veicoli, dell’IT, della moda e design, della gioielleria. Lo sviluppo dell’industria alimentare consentirebbe non solo la trasformazione in loco di un vasto numero di prodotti agricoli, ma anche la conservazione e l’inscatolamento, attualmente ancora carenti soprattutto per quanto concerne la refrigerazione. Senza dimenticare l’indotto dettato dalla vendita o produzione in loco di macchinari adatti al miglioramento del processo produttivo. I settori della componentistica per autoveicoli, della moda e design possono avvalersi di mano d’opera specializzata di lingua inglese a costi estremamente competitivi, con una lunga tradizione storica per alcune lavorazioni particolari del tessile, della gioielleria, del cuoio, dei mobili. L’apporto dell’industria italiana in questi campi non si limita alla fornitura di macchinari e utensili di precisione e alla competenza nello stile ma può riguardare l’integrazione con imprese di altissimi livelli di finitura e lavorazione, dando origine a particolari distretti per prodotti specifici. A questo proposito ICE ha costituito un ufficio a Nuova Delhi per il monitoraggio costante di gare pubbliche e nuovi progetti, dato il programma di sviluppo infrastrutturale intrapreso dal governo indiano, riguardante opere stradali e autostradali, strutture portuali e aeroportuali, sviluppo e ammodernamento delle reti ferroviaria ed energetica, urbanistica e gestione dei rifiuti e delle acque, sia potabili che reflue. Sottolineando ancora una volta come la simile struttura produttiva, rappresentata da PMI, e la necessità di migliorare l’efficienza infrastrutturale locale offrono alle imprese italiane l’opportunità strategica di realizzare quei network in grado di rafforzarne competitività e posizione internazionale. E innescare così, al tempo stesso, un meccanismo virtuoso all’interno del paese in grado di alimentarne il tanto necessario sviluppo economico e sociale.