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India e IDE europei: tra riforme e vulnerabilità

Dai dati presentati dal Prof. C.P. Chandrasekhar nel suo studio pubblicato su IndiaIndie, in questi mesi gli sforzi dell’economia indiana nel contrastare gli effetti della crisi globale stanno diventando sempre più ardui. Da una parte, il governo addossa la colpa di tale situazione all’aumento dei tassi di interesse deciso dalla Banca Centrale indiana per combattere l’inflazione. Dall’altra, la Banca Centrale stessa ribatte di non poter ridurre i tassi di interesse, essendo l’inflazione a livelli ancora molto elevati, come sottolineato in un precedente articolo su FIRSTonline. Il governo non si trova nella posizione di poter aumentare la spesa pubblica, sperando di ridurre il deficit di bilancio senza ricorrere a un aumento della tassazione. È dunque probabile che il rallentamento dell’economia indiana persista e gli sforzi di politiche monetarie restrittive risultino vani. Infatti, in mancanza di infrastrutture e politiche energetiche efficienti, i fattori di rischio dell’economia vanno correlati, innanzitutto, all’incertezza sui prezzi delle risorse energetiche. Inoltre, la tendenza all’aumento dei prezzi del cibo si sta aggravando a causa degli effetti che le condizioni di maltempo estremo verificatesi in diverse parti del mondo, come USA, Russia, Ucraina e Kazakistan, hanno avuto sulla produzione dei cereali, in particolare di granturco e soia. Senza dimenticare la scarsa offerta di generi alimentari nel mercato interno, data la lentezza nel progresso del settore agricolo ed un inefficiente sistema distributivo. Infine, ci si attende che l’intensificarsi della crisi finanziaria europea possa influire negativamente sull’economia indiana. In Europa le banche sono state invitate ad accettare una svalutazione dei prestiti concessi ai governi della stessa Eurozona, come parte dello sforzo comune mirato alla risoluzione della crisi, ma rischiando così di trovarsi di fronte ad una sostanziale erosione del proprio patrimonio. E, dunque, limitando drasticamente l’erogazione di crediti a famiglie, imprese e Paesi esteri.

Il coinvolgimento delle banche estere nel Paese è andato via via aumentando negli ultimi dieci anni, a partire dall’attuazione di liberalizzazioni nel sistema economico e finanziario. Il rapporto fra crediti esteri e PIL in India è così salito dal 9,7% nel 2005 al 16% nel 2007. Nel 2010, dopo lo scoppio della crisi, tale rapporto è sceso soltanto al 15,3%, dimostrando che i flussi di investimenti non si sono contratti. Un anno fa le banche europee aderenti alla BIS contavano quasi 159 miliardi di dollari di crediti esteri nei confronti dell’India, essendosi rivolte ai paesi emergenti al fine di espandere il proprio volume di affari, attratte da maggiori profitti. Tanto che, un anno fa, il 55% dei crediti esteri del sistema bancario globale risultava provenire da banche europee.

In questo momento, il grado di esposizione dell’economia indiana agli investimenti europei aumenta la vulnerabilità non soltanto del paese, ma degli attori europei stessi. Le banche colpite dalla crisi si ritrovano a dover coprire le perdite nel proprio paese, effettuare interventi di ricapitalizzazione e migliorare il profilo di rischio della propria attività. Ed un modo per farlo consiste nel raccogliere surplus sfruttando la propria posizione nei remunerativi mercati emergenti. È allora necessario valutare il rischio degli investimenti europei di fronte al rallentamento della performance economica indiana, soprattutto se ci si trova di fronte ad investimenti nel medio-lungo periodo. Un peggioramento della situazione porterebbe, infatti, non soltanto alla mera fuoriuscita di investimenti produttivi dall’India verso altri mercati più redditizi, ma anche a un crollo delle esportazioni indiane ed un aggravarsi della stessa recessione europea. Risulta allora fondamentale per gli interessi europei il superamento delle profonde carenze infrastrutturali, delle inefficienze energetiche e finanziarie in India, vale a dire quelle stesse ragioni che ostacolano lo sviluppo del Paese.

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