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In Cina è scoppiata la febbre del “made in Russia”: ecco perché

Sulla scia dell’asse geopolitico tra Mosca e Pechino, crescono anche gli affari. Per i consumatori cinesi il “made in Russia” è il trend del momento, tanto che i prodotti vengono sempre più spesso spacciati per russi, come una volta si faceva con i brand occidentali

In Cina è scoppiata la febbre del “made in Russia”: ecco perché

Che la Cina e la Russia siano due Paesi non solo confinanti geograficamente ma molto vicini politicamente e strategicamente è cosa nota, ma non era così scontato che i cinesi finissero persino con l’appassionarsi per i prodotti provenienti da Mosca. Anzi, nel Paese asiatico sono abbastanza gelosi dei loro brand, tanto che hanno tra le altre cose il “loro Mc Donald’s” e il “loro Starbucks”, e sono notoriamente specializzati nel riproporre a loro modo la cultura e i modelli di consumo occidentali.

Stavolta però in virtù di una amicizia sempre più solida – dalla guerra in Ucraina alla leadership dei Brics – il “made in Russia” sta diventando il nuovo “made in Italy”: dilagano infatti nel Paese non solo i negozi specializzati in vendita di merci importate dalla Russia, ma anche il “russian sounding“, un fenomeno illecito che noi italiani conosciamo bene ossia esercizi commerciali che vendono prodotti assolutamente fabbricati in Cina ma spacciati per russi. Con vari trucchetti: dalle insegne con i colori bianco-rosso-blu della bandiera russa, fino alle immagini di orsi bruni, alla parola “Russia” proposta nel nome stesso del negozio (“Russia Quality Select”, per esempio) o all’utilizzo di etichette in lingua russa, spesso storpiate con errori grammaticali, tanto che la pratica è già finita nel mirino delle autorità locali.

Geopolitica e marketing: un’alleanza strategica

A spingere questa simpatia per l’influente vicino di casa è lo stesso governo di Pechino, con l’obiettivo di consolidare l’asse euro-asiatico in prospettiva anti-occidentale e soprattutto anti-Trump, anche se il riavvicinamento – presunto e al momento parziale – tra il Cremlino e la Casa Bianca potrebbe rovinare i piani di Xi Jinping, sia a livello commerciale che di soft power.

Cina e Russia sono infatti da poco uscite da una storica rivalità, culminata con le grandi tensioni degli anni ’60, mentre nel 2024 – secondo una ricerca dell’Università di Tsinghua – praticamente due cinesi su tre avevano una buona opinione degli ex sovietici, con un aumento di 7 punti percentuali rispetto al 2022. Non a caso i russi sono oggi il secondo gruppo di visitatori che più viaggia verso la Cina, mentre prima della pandemia erano fuori dalla top 10, e l’eco del successo del brand Russia è arrivata fino a Mosca, tanto che lo stesso presidente Vladimir Putin vorrebbe lanciare un analogo franchising, da 300 punti vendita, nel proprio Paese. E non sarebbe la prima volta che i due Paesi alleati fanno affari insieme: sull’asse che dagli Urali porta all’Oceano Pacifico si muovono ogni anno 245 miliardi di dollari di merci, in entrambe le direzioni, più di quanto accada tra Cina e Germania, per esempio. Fino al 2022 però era rarissimo trovare prodotti russi a Pechino e dintorni, mentre oggi le imprese cinesi specializzate in prodotti russi – veri o fasulli che siano – sono quasi mille, secondo il rilevamento della banca Qichacha.

Negli esercizi commerciali filo-russi, che spesso sono dei veri e propri supermercati a tema, i prodotti più acquistati sono il cioccolato e il latte in polvere per neonati, che costano meno rispetto alle equivalenti proposte domestiche. Ma vanno molto di moda anche i gelati, soprattutto dopo che qualche anno fa Putin ne aveva mandato una confezione al collega e amico Xi, come regalo per il suo 66esimo compleanno. Da allora, le vendite di gelati russi in Cina sono quadruplicate: anche questa è geopolitica.

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