In Brasile trionfa Dilma Roussef e in Ucraina gli europeisti, mentre in Uruguay si va al ballottaggio. Questi i risultati dell’ultimo, intenso weekend elettorale ai due angoli del pianeta.
Nel più grande Paese sudamericana la presidente uscente del Partito dei lavoratori è stata rieletta con il 51,64% dei voti, contro il 48,36% ottenuto dall’avversario del centrodestra, Aecio Neves, al termine di un’aspra campagna elettorale che ha diviso i brasiliani per classi sociali. La vittoria di Rousseff si è giocata su tre milioni di voti, in un Paese dove a votare sono andate oltre 100 milioni di persone.
“Il dialogo è il primo impegno del mio nuovo mandato”, ha subito dichiarato Roussef davanti alla folla dei suoi sostenitori, promettendo di essere “un presidente migliore di quanto sia stato finora”. La neorieletta ha quindi assicurato il proprio impegno per rilanciare l’economia, combattendo “con rigore l’inflazione” e dando “più impulso ai settori economici, compresa l’industria, per tornare al nostro ritmo di crescita che garantisca un alto livello occupazionale e la rivalutazione dei salari”. Roussef, infine, ha garantito anche più impegno nella lotta alla corruzione, dopo gli scandali che hanno appannato l’immagine del suo partito.
In Ucraina, invece, gli exit poll fotografano questa situazione: schiacciante maggioranza filo occidentale (oltre il 70%) di sei partiti, di cui due fortemente nazionalisti; presidente di pace più debole e premier di guerra molto più forte delle attese; un solo partito filorusso e scomparsa per la prima volta dal 1993 dei comunisti. Le elezioni parlamentari anticipate ucraine sembrano quindi complicare il dialogo con Putin sul conflitto nell’est del paese.
Dati che rivelano anche la sorpresa di Samopovich (Auto Aiuto), il giovane partito del sindaco di Leopoli Andrii Sadovii pieno di attivisti e combattenti, proiettato al terzo posto con una percentuale tra il 12,5% e il 14,2%, e il flop del partito radicale dell’ultranazionalista Oleg Liashko, fermo al 6%-7%, quando fino a ieri era dato dai sondaggi come secondo partito con il 13%.
Da segnalare anche il crollo del partito Patria di Iulia Timoshenko, ex icona della rivoluzione arancione e detenuta politica sotto il presidente Ianukovich, finito appena sopra la soglia di sbarramento del 5% (5,6%-6%). Sicuramente fuori Pravi Sektor (2,4%), il partito ultranazionalista di estrema destra con connotazioni naziste, motore militare del Maidan.
“L’Ucraina ha votato massicciamente per un avvicinamento irreversibile all’Europa”, ha commentato il capo dello Stato, protagonista oggi anche di un blitz a Kramatorsk, nell’est del Paese, per ringraziare i soldati. Ma il suo indebolimento rischia di ripercuotersi non tanto sull’ integrazione europea e sulle riforme quanto sul dialogo con Putin per consolidare il processo di pace nelle regioni orientali, dove non si è votato nelle zone presidiate dai ribelli filorussi e l’affluenza in quelle controllate da Kiev è stata intorno al 25%, la metà di quella nazionale (53%).
Tanto più che a rafforzarsi è stato il Fronte popolare del premier Arseni Iatseniuk, uno dei più feroci critici di Putin, catapultato alle spalle del blocco del presidente con oltre il 21%: la sua riconferma alla guida del prossimo governo appare quindi inevitabile, con il rischio di un duello a distanza tra presidente e primo ministro, come ai tempi di Iushenko e Timoshenko, i due eroi della rivoluzione arancione finiti ai ferri corti.
Samopovich si presenta invece come una forza nazionalista moderata ma potrà reclamare una adeguata presenza nel governo, a differenza del partito radicale (se verrà imbarcato nella coalizione) di Svoboda (Libertà, 5,8%-6,3%) e della Timoshenko.
I filorussi saranno (sotto) rappresentati solo dal Blocco di Opposizione (6,6%-7,8%), avatar del partito delle Regioni dell’ex presidente Ianukovich, guidato dal suo ex controverso ministro dell’energia Iuri Boiko e sponsorizzato da due oligarchi: Rinat Akhmetov, l’uomo più ricco del Paese, e Dmytro Firtash. Non ce l’ha fatta Ucraina Forte di Serghiei Tighipko (2,6%), ex vicepremier di Ianukovich. Fuori, per la prima volta dopo 20 anni, anche i comunisti (2,9%).
Infine, in Uruguay, il voto per le presidenziali e le legislative si è chiuso con l’affermazione relativa del candidato di sinitra, Tabaré Vazquez, che col 46% dei voti va al ballotaggio contro Luis Lacalle Pou, di centrodestra, mentre c’è molta incertezza sull’esito delle parlamentari.
Vazquez, 74 anni, già primo presidente dell’Uruguay, dovrebbe quindi poter diventare il successore di José Mujica, l’atipico presidente ex tupamaro che, pur popolarissimo, non ha potuto candidarsi per un secondo mandato consecutivo in base al dettato costituzionale.
In ogni caso, la sfida del ballottaggio non è decisa in partenza. Luis Lacalle Pou, appena 41 anni, dalla carriera folgorante e dall’ascesa fulminante, ha costituito una vera sorpresa vincendo le primarie del Partito Nazionale (di centro destra) e al ballottaggio potrebbe raccogliere tutti i voti del suo tradizionale partito alleato, il Partito Colorado, con un apporto del 15% dei voti.