Prima o poi doveva accadere che anche l’algoritmo per le super veloci negoziazioni di borsa – lo HFT, Hight Frequency Trading – avrebbe ricevuto l’onore di figurare in un film thriller ambientato a Wall Street: Money Monster. La visione del film (abbastanza gradevole, ma di qualità non eccezionale) mi ha fatto tornare alla memoria un interessante dibattito che si tenne nella metà degli anni novanta. Un dibattito che allora riguardo la Hight Mobility internazionale dei capitali e dei compiti delle autorità nazionali deputate a gestire la politica monetaria anche al fine di mantenere stabili i cambi nel contesto di economia che si stavano rapidamente globalizzano.
Lo ricordo oggi perché il dibattito di allora riguardò anche se e come “mettere sabbia” nei movimenti dei capitali internazionali, divenuti eccezionalmente rapidi anche a causa delle innovazioni tecnologiche che favoriscono la velocità delle transazioni sui mercati dei capitali internazionali. (Cfr. Barry Eichengreen, James Tobin and Charles Wyplosz, Two Cases for Sand in the Weels of International Finance, The Economic Journal, 1995, January, pp.162-172).
Allora il dibattito riguardava l’opportunità di stabilizzare la volatilità dei cambi, oggi potrebbe essere il caso di discutere se sia opportuno stabilizzare la volatilità dei corsi azionari causata anche dall’ormai famoso algoritmo HTF. Algoritmo che confina nell’oblio la figura del market maker e la sua funzione di stabilizzazione dei corsi.
Si limita ad osservare prudentemente la Consob che “desta preoccupazione la persistente crescita del trading algoritmico e dell’high frequency trading (HFT), per i riflessi negativi che essi possono produrre sul processo di price discovery e sulla volatilità dei rendimenti azionari giornalieri (…) Ciò potrebbe generare il rischio di un aumento delle oscillazioni dei corsi dei singoli titoli e della volatilità complessiva dei mercati (Relazione 2015, pp. 9-10). Così preoccupata, la Consob intende monitorare i processi di formazione dei prezzi delle azioni.
Il fenomeno dell’HFT ed i connessi rischi sono ormai noti a tutti grazie a Money Monster ed il monitoraggio non può che confermarli. Forse sarebbe più opportuno “mettere sabbia” negli ingranaggi dei computer che fanno HFT per ridurne la velocità di negoziazione, far valutare al trader l’opportunità delle negoziazioni e ridare lavoro al market maker. Oppure, quanto meno, non consentire lo HFT sui titoli sottili da sempre troppo esposti alla volatilità di borsa e terreno di caccia per gli speculatori.
In fin dei conti sono provvedimenti che consentirebbero di non dovere dare ragione al Keynes della Teoria generale del 1936: “Si è generalmente d’accordo sul fatto che i “casinos”, in nome del pubblico interesse, dovrebbero essere resi inaccessibili e molto costosi. E ciò vale anche per gli Stock Exchanges”.