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In Borsa alleggeritevi un po’ e privilegiate la Germania

FIRSTonline

Bene, ora sappiamo praticamente tutto quello che volevamo sapere. Sappiamo come si comporterà la Bce nei prossimi 18-20 mesi (30 miliardi al mese di Qe fino a settembre, poi quasi sicuramente 10-15 per altri tre mesi e alla fine il primo rialzo dei tassi a metà 2019). Sappiamo che l’euro, grazie al permanere di un atteggiamento espansivo da parte della Bce, resterà tranquillo non lontano dai valori attuali per i prossimi mesi, con grande sollievo delle borse europee e in particolare di quella tedesca.

Sappiamo chi sarà il nuovo governatore della Fed (la colomba Powell). Sappiamo che lo stock della base monetaria americana scenderà molto dolcemente e resterà comunque sopra i tre trilioni alla fine del Quantitative tightening nel 2021. Conosciamo inoltre non solo i contorni, ma anche molti dettagli di quella riforma fiscale americana che i mercati invocano da un anno nella speranza di vedere gli utili 2018 crescere di 8-10 dollari per azione dell’SP 500.

Sappiamo che in cambio dell’aliquota per le società abbassata al 20 (e non al 25-26 come si era cominciato a pensare) ci sarà un taglio in alcune detrazioni e deduzioni per fare tornare i conti e solo un piatto di lenticchie per le persone fisiche, ma ci sarà comunque un sistema fiscale un po’ più razionale e 1.5 trilioni in meno di tasse nell’arco dei prossimi 10 anni. Sappiamo che il senato peggiorerà e diluirà la proposta della camera, ma l’impianto generale resterà in piedi. Soprattutto sappiamo che la riforma fiscale ci sarà sul serio, a questo punto con un 85-90 per cento di probabilità, quando ancora un mese fa la si dava al 40-50 per cento.

Non bastasse, accanto a queste quasi certezze, ci siamo fatti l’idea (questa tutta da verificare) che avremo crescita senza inflazione per tutto l’orizzonte prevedibile, che la curva di Phillips è un’anticaglia buona solo per l’accademia, che l’inflazione salariale, grazie ai robot e all’intelligenza artificiale, non si farà viva mai più e che il rischio, se così lo vogliamo chiamare, è di avere ancora più crescita e ancora meno inflazione di quella che ci immaginiamo oggi.

Non solo, quindi, sappiamo tutto quello che volevamo sapere. Abbiamo anche tutto quello che volevamo ottenere e ci siamo formati l’intima convinzione che, se sorprese ci saranno, saranno positive. E non dimentichiamo che, oltre al sopraggiungere di certezze e attese
positive, abbiamo visto anche il ridimensionamento drastico, giustificato o meno, delle preoccupazioni geopolitiche in Asia e di quelle politiche in Europa e in America.

A questo punto che cosa possiamo ancora sognare? Quali sorprese positive ulteriori potremmo immaginare? La manna dal cielo? Sarebbe deflazionistica, perché aggraverebbe l’eccesso di offerta. I soldi dal cielo? Rischierebbero di essere inflazionistici. Il massimo che possiamo sperare è che il futuro sia come ce lo stiamo immaginando. Se non sarà così rimarremo delusi. Se sarà così dovremo comunque scalare una marcia e passare dall’euforia di un momento magico al benessere di una crescita ordinata e duratura.

Nel primo caso, la delusione, avremo un’inversione di tendenza in borsa, non necessariamente drammatica ma netta e percepibile. Nel secondo caso potremmo invece avere una correzione dovuta a prese di profitto, in particolare in gennaio, quando i venditori potenziali corporate di oggi, bloccati dall’attesa di aliquote più basse sui capital gain, potranno finalmente sfruttare il nuovo regime fiscale. Qualcosa di più, dunque, di un normale sell the news.

Al termine della correzione, che interesserà ovviamente i titoli e i settori saliti di più in questi due anni, i mercati azionari potranno riprendere a salire in linea con gli utili senza trarre benefici ulteriori da sogni e fantasie. Quello di oggi non è forse il migliore dei mondi possibili per chi investe ma ci si avvicina. Le banche centrali intendono mantenere i tassi reali a zero in America e negativi in Europa. Ancora una volta i possessori di bond ottengono un rinvio del bear market tante volte minacciato.

La Fed sarà guidata da un uomo equilibrato e ragionevole. L’Europa ha un ritardo di quattro anni rispetto al ciclo americano e ha quindi la possibilità di assorbire abbastanza bene un’eventuale recessione negli Stati Uniti. È giusto celebrare questo robusto quadro di fondo, ma non bisogna dimenticare che la storia non si ferma qui. Nulla vieta che i repubblicani perdano la maggioranza in Congresso tra 12 mesi. Nulla vieta che, già all’inizio del 2019, si profili all’orizzonte un’America inquieta pronta a cambiare di nuovo e a scegliere Sanders o la Warren come futuro presidente.

Nulla vieta che i grandi monopoli della tecnologia vengano attaccati sul piano fiscale e su quello della legislazione antitrust. Nulla vieta che la Cina inciampi di nuovo, come capitò due anni fa. Dopo nove anni di ciclo espansivo e due anni di sottociclo positivo premiati da una
spettacolare rivalutazione degli asset finanziari e reali non vediamo nulla di male nel portare a casa qualcosa e nel concedersi una pausa di
qualche settimana, pronti magari a rientrare più avanti.

Potrebbe essere diverso per l’Europa? La riforma fiscale americana, in teoria, è negativa per le imprese europee che vedono i loro concorrenti d’oltreoceano improvvisamente più profittevoli e competitivi, ma i mercati non ragionano così. L’arresto del rialzo dell’euro è un fattore di sollievo che compensa pienamente la modesta perdita di competitività e nulla vieta che l’Europa abbassi anch’essa, nei prossimi anni, le aliquote per le imprese. Per le borse europee, quindi, proponiamo un alleggerimento modesto, accompagnato da una rotazione parziale e temporanea dall’Italia alla Germania.

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