Condividi

In America Latina l’inclusione finanziaria è il motore della crescita: ecco cosa sta cambiando

The Economist segnala che il numero di latinoamericani titolari di conto in banca cresce il doppio della media mondiale, ma ancora il 26% di loro non ne ha ancora uno: “La pandemia ha accelerato l’inclusione finanziaria e il Brasile è campione di fintech. Ma occhio alle disuguaglianze”

In America Latina l’inclusione finanziaria è il motore della crescita: ecco cosa sta cambiando

Che l’inclusione finanziaria sia uno dei temi portanti della transizione verso un futuro più sostenibile lo sappiamo anche in Europa: del resto proprio noi italiani siamo fanalino di coda in questo ambito, soprattutto dal punto di vista delle donne. C’è invece un’area del mondo storicamente più arretrata di noi, ma dove le cose stanno rapidamente cambiando: l’America Latina. Ad occuparsi del fenomeno è il The Economist, che ci vede il potenziale motore di una crescita e di un benessere fino ad oggi frenati da modalità di risparmio e di credito eccessivamente informali. Nel mondo ci sono ancora quasi 1,5 miliardi di persone che non hanno nemmeno un conto in banca, e buona parte di queste vive nella parte di continente americano che va dal Messico in giù, dove circa il 26% degli adulti non è intestatario di conto corrente, un dato inferiore solo a quello dell’Africa sub-sahariana e del Sud-Est asiatico.

I cambiamenti nell’inclusione finanziaria in America Latina

In alcuni Paesi come l’Argentina la percentuale è molto più alta, ma ad esempio in Messico oltre la metà degli over 15 non ha un conto in banca. I motivi? “Molte persone diffidano delle banche e non hanno una buona cultura finanziaria – scrive il giornale finanziario -. Non aiuta inoltre il fatto che le banche in tutta la regione spesso applichino commissioni elevate“. Tuttavia le cose stanno cambiando, anche grazie al Covid che avrebbe accelerato il processo di inclusione finanziaria: “Durante la pandemia, con le persone chiuse in casa, le transazioni digitali hanno guadagnato terreno rispetto al contante”, sostiene ancora The Economist. E per fare operazioni digitali è stato necessario aprire un conto corrente in un istituto di credito, soprattutto in Colombia e in Repubblica Dominicana dove i governi hanno imposto l’obbligo per tutti i trasferimenti legati alla pandemia, ma anche in Brasile dove è stato introdotto il Pix, un sistema di pagamento istantaneo senza commissioni che ha superato le carte di credito ed è agganciato in ogni caso al conto in banca.

Il boom dei conti correnti spinto dal fintech

Il risultato è che tra il 2014 e il 2021 i latinoamericani titolari di un conto corrente sono aumentati del 6%, il doppio rispetto alla media mondiale del 3% nello stesso periodo. Ha contribuito un crescente e florido mercato fintech privato, grazie anche al lancio dell’open banking nella regione, che consente e incoraggia le istituzioni finanziarie a condividere i dati, entro rigidi limiti di privacy e sicurezza. Il Brasile ad esempio è tra i leader mondiali del settore: Nubank, fondata nel 2013, è oggi la più grande banca fintech dell’America Latina, con oltre 100 milioni di clienti e un fatturato di 10 miliardi di dollari. “Tale concorrenza sta riducendo i costi e spingendo le banche tradizionali ad innovare”, spiega ancora The Economist. Tuttavia, non mancano le perplessità, anche perché molte persone aprono conti ma poi li lasciano inattivi. Avere un conto in banca non si traduce necessariamente in accesso al credito e anzi tra il 2014 e il 2021 l’adozione di carte di credito e prestiti in America Latina è cresciuta più lentamente rispetto alla media globale.

Sfide sociali: divario di genere, aree rurali e disuguaglianze

Infine ci sono i grandi temi sociali, ad incominciare dal divario di genere e dall’accesso al credito della popolazione rurale, penalizzata rispetto ai grandi centri urbani. Ma soprattutto la sfida più grande dell’area, storicamente caratterizzata da fortissime disuguaglianze, è garantire che il progresso finanziario non le aggravi. “L’America Latina è in una fase di crescita lenta – chiude The Economist – e l’inclusione finanziaria non riguarda solo dove le persone conservano i propri soldi: stimola risparmi, investimenti e imprenditorialità. Al contrario, la mancanza di inclusione ostacola la crescita e aggrava la povertà”.

LEGGI ANCHE: Educazione finanziaria, un diritto e dovere dei cittadini. La guida di FIRSTonline

Commenta