L’impatto della guerra in Ucraina sui prezzi delle materie prime continua ad essere intenso, delineando un quadro preoccupante. I numeri forniti da Assolombarda parlano chiaro: aumenti in tutti i comparti, con il gas naturale europeo a trainare il gruppo. Se continueranno su questa strada si “paventa il rischio di una riduzione della produzione di molte imprese manifatturiere, una su 4 se il conflitto durerà oltre i prossimi 3 mesi”. Sono le parole di Alberto Dossi, vicepresidente di Assolombarda. “La priorità ora – afferma Dossi – è mitigare gli impatti dell’aumento dei prezzi per garantire la continuità produttiva delle imprese. Non bisogna però perdere di vista l’obiettivo a lungo termine, che deve essere quello di favorire una politica energetica improntata a uno sviluppo equilibrato e senza pregiudizi delle diverse tecnologie e fonti energetiche sostenibili. Sviluppo che riduca il più possibile la dipendenza energetica da Paesi politicamente instabili come la Russia”.
Imprese manifatturiere a rischio per i rincari delle materie prime
Nel dettaglio, il gas naturale europeo è tra le materie prime che evidenzia l’aumento delle quotazioni più elevato dal pre Covid (+740% il 19 aprile) e tale incremento è spiegato per circa un quinto dagli aumenti registrati dopo lo scoppio della guerra. Le quotazioni del gas continuano a essere caratterizzate da intense oscillazioni: dopo il picco di inizio marzo, quando ha sfiorato i 220 euro per MWh, il prezzo è ora a 94 euro per MWh (dato sempre al 19 aprile), comunque sopra i livelli registrati prima dello scoppio della guerra in Ucraina (76 euro per MWh nella media delle prime tre settimane di febbraio).
I rincari del gas europeo spingono in alto il prezzo dell’energia elettrica in Italia, che risulta sopra al pre Covid del +393% (19 aprile), aggravando le tensioni già esistenti prima del conflitto, quando il PUN (Prezzo Unico Nazionale energia elettrica) evidenziava un aumento del +333% rispetto a gennaio 2020.
Sono diverse le materie prime le cui quotazioni risentono in maniera pesante del conflitto. In particolare, gli effetti risultano consistenti per il prezzo del frumento, il cui incremento dal pre Covid (+98% il 19/04) è spiegato per quasi due terzi dai rincari registrati dopo l’inizio della guerra. Anche gli aumenti delle quotazioni di nichel e zinco (+154% e +96% dal pre Covid) sono da imputare per circa la metà al periodo post-conflitto. Per olio di semi di girasole, acciaio, mais e petrolio la guerra incide per quasi la metà degli aumenti rispetto al pre Covid: +151% olio di semi di girasole rispetto a prima della pandemia, +217% acciaio, +113% mais, +72% petrolio Brent, che si attesta sopra i 100 dollari al barile. Altro rialzo importante è quello del fertilizzante urea e nitrato di ammonio, il cui prezzo è oggi del+388% sopra il gennaio 2020, anche in questo caso con una accelerazione dopo l’inizio del conflitto.