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Imprese italiane e finanziamenti: qualche luce dietro le troppe ombre

Nell’ultimo anno l’andamento del credito alle imprese ha evidenziato una situazione di difficoltà. Ad un esame più approfondito, tuttavia, emergono circostanze che rendono il quadro un po’ meno sfavorevole di quanto non sembri a prima vista.

In primo luogo, la contrazione nel flusso dei nuovi prestiti alle imprese è attribuibile quasi esclusivamente ai prestiti di importo molto elevato (oltre un milione di euro). L’arretramento dei nuovi prestiti di più contenuta dimensione è molto limitato. In secondo luogo, la forte riduzione dei nuovi prestiti di significativo importo si accompagna ad una maggiore disponibilità del mercato obbligazionario.

Questi andamenti stanno assumendo un profilo gradualmente strutturale. Nei primi undici mesi del 2012 la riduzione dei nuovi prestiti di importo superiore a un milione di euro è responsabile del 94% della contrazione totale dei nuovi prestiti alle società non finanziarie. Nello stesso periodo le emissioni nette (in euro e con scadenza superiore all’anno) effettuate dalle imprese italiane risultano aumentate di 13,8 miliardi. Rispetto al corrispondente periodo dell’anno precedente la minore acquisizione di risorse (nuovi prestiti bancari + emissioni nette) da parte delle società non finanziarie risulta limitata a soli 2,2 miliardi. (-0,5%).

Ad ostacolare un più favorevole andamento del credito alle imprese è soprattutto il deterioramento del portafoglio prestiti. All’ultima rilevazione (settembre 2012) il tasso annuo di decadimento dei prestiti alle imprese è risultato pari al 3,3%, più del doppio di quello attribuibile alle famiglie (1,4%). Alla fine del 2011 era ancora al 2,7% e secondo le ultime indicazioni della Banca d’Italia potrebbe continuare ad aumentare fino a metà 2013.

LA RIDUZIONE DEL CREDITO ALLE IMPRESE…

È opinione condivisa che non ci può essere una solida ripresa economica senza un buon funzionamento del processo di finanziamento delle imprese, un circuito che in questi mesi evidenzia certamente una situazione di difficoltà. Tuttavia, ad un esame più approfondito, la situazione appare (almeno un po’) meno sfavorevole di quanto non sembri a prima vista.

Secondo quanto recentemente indicato dalla Banca d’Italia, a novembre 2012 l’ammontare dei prestiti alle imprese era inferiore del 3,4% al corrispondente dato del 2011 (-1,2% a/a la variazione del totale dei prestiti a residenti in Italia, -0,3% per quelli alle famiglie). In valore assoluto si tratta di una riduzione di 40 miliardi di euro. La contrazione del credito alle imprese registrata in Italia s’inserisce in un andamento dell’area euro solo un po’ meno negativo (-1,9% a/a).

Se si guarda all’andamento dei prestiti al netto delle sofferenze lo scenario del finanziamento bancario alle imprese appare in Italia anche più negativo: negli ultimi tre mesi disponibili (settembre–novembre 2012), infatti, questo aggregato registra una flessione pari a circa il 6% rispetto ad un anno prima. La contrazione è sostanzialmente simile per le imprese con almeno 20 addetti (le cosidette “medio-grandi”) e per le imprese al di sotto di questa soglia. A rendere ancor più preoccupante il quadro è anche la rapidità con la quale si è manifestata questa flessione (a fine del 2011 la variazione a/a era ancora positiva, seppure solo marginalmente).

…SI ACCOMPAGNA AD UN MAGGIOR RICORSO AL MERCATO OBBLIGAZIONARIO

La dinamica dei prestiti alle imprese al netto delle sofferenze è la combinazione di due flussi, l’erogazione di nuovi prestiti (in senso positivo) e la dinamica delle sofferenze (in senso negativo se aumentano).

Nel trimestre prima indicato (settembre–novembre 2012), l’erogazione di nuovi prestiti alle imprese ha registrato una contrazione del 9,5% a/a. Se si scompone questa variazione si scopre però che l’arretramento dei nuovi prestiti di dimensione più contenuta è molto limitata: -0,5% quelli fino a un milione di euro, -2% quelli fino a 250mila euro. La contrazione dell’aggregato, quindi, risulta attribuibile quasi esclusivamente ai prestiti di importo superiore a un milione di euro (-14,4%).

Rispetto al corrispondente trimestre del 2007, vigilia della più grave crisi economica del dopoguerra, l’entità della flessione risulta ovviamente molto ampia: -32% per il totale dei nuovi prestiti alle imprese, -20% quelli al di sotto del milione di euro, -38% quelli al di sopra di questa soglia. Tra i due periodi il flusso mensile dei nuovi contratti di prestito risulta diminuito di quasi 20 miliardi.

La forte riduzione dei nuovi prestiti di significativo importo (oltre un milione di euro) sembra in gran parte riflesso della maggiore disponibilità del mercato obbligazionario. Nel trimestre settembre–novembre 2012, infatti, il flusso netto delle nuove emissioni (in euro e con scadenza superiore all’anno) delle imprese non finanziarie italiane è risultato pari a circa a 9,5 miliardi, quasi cinque volte il corrispondente dato del 2011. In termini percentuali, la crescita italiana è oltre due volte quella media dell’area euro (+157%). La quota del nostro Paese sul totale delle nuove emissioni risulta così incrementata di dieci punti percentuali (al 21%), ad un livello molto superiore a quanto rilevabile dal lato delle consistenze (13% a novembre 2012).

In definitiva, rispetto a 12 mesi prima nell’ultimo trimestre disponibile la contrazione dei nuovi prestiti (-11,9 miliardi) ha trovato compensazione per oltre tre quarti in una più intensa emissione di corporate bond (+9,5 miliardi).

Il fenomeno non è confinato agli ultimi mesi. Infatti, nei primi undici mesi del 2012 l’ammontare dei nuovi prestiti erogati alle imprese risulta in flessione del 3,6% a/a (-16,1 miliardi), riduzione limitata allo 0,6% per le nuove operazioni di importo fino a un milione di euro e allo 0,5% per quelle fino a 250mila euro; con una riduzione annua del 5,3% i nuovi prestiti di importo superiore a un milione di euro sono responsabili del 94% della contrazione totale dell’aggregato. Nello stesso periodo le emissioni nette (in euro e con scadenza superiore all’anno) effettuate dalle imprese italiane risultano aumentate di 13,8 miliardi. Rispetto al corrispondente periodo dell’anno precedente, quindi, la minore acquisizione di risorse (nuovi prestiti bancari + emissioni nette) da parte delle società non finanziarie risulta ridotta a soli 2,2 miliardi, (-0,5%). È appena il caso di ricordare che si tratta di una sintesi a livello di sistema che potrebbe celare differenze settoriali e/o geografiche anche importanti.

Il fenomeno appena descritto non è solo italiano anche se il nostro Paese è tra quelli in cui sembra più netto. In Germania, nel trimestre luglio-settembre 2012 il flusso delle emissioni nette di obbligazioni risulta quadruplicato (+6,2 miliardi) rispetto al corrispondente periodo dell’anno precedente, più che compensando la contemporanea flessione dei nuovi prestiti bancari (-4,6 miliardi).

Solo in parte diverso il caso della Francia: nel trimestre agosto–ottobre 2012 la crescita del flusso delle nuove emissioni di obbligazioni con scadenza oltre un anno risulta significativa sia in termini percentuali (+110% a/a) sia in valore assoluto (+9,1 miliardi nel trimestre), in parte però riflesso di un processo di allungamento delle scadenze (nello stesso periodo le emissione nette di obbligazioni con durata inferiore all’anno risultano negative).

Parallelamente, l’erogazione di nuovi prestiti bancari alle imprese subisce una correzione appena accennata (-1,3%), più intensa per le operazioni inferiori a un milione di euro (-3,3% a/a) rispetto a quanto verificabile per i finanziamenti superiori a questo importo (-0,5% a/a). La disponibilità dei mercati obbligazionari a colmare o attenuare la più cauta erogazione di nuovi prestiti bancari è fenomeno proseguito nei mesi più recenti. La stampa internazionale ha evidenziato anche a gennaio una forte crescita delle emissioni di corporate bond in tutti mercati mondiali, fenomeno favorito da una consistente limatura dei rendimenti richiesti.

IL MERCATO DELLE OBBLIGAZIONI CORPORATE DELL’AREA EURO

Secondo le statistiche dell’Eurosistema, nel novembre 2012 il mercato delle obbligazioni dell’area euro aveva una consistenza di 821 miliardi, per l’88% costituito da titoli a più lungo termine. 

Facendo riferimento ai titoli con più lunga scadenza la Francia è il paese decisamente più importante con una quota del 46%. Molto distanziate seguono l’Italia (13%, 97 miliardi), la Germania (12%, 87 miliardi) e l’Olanda (8%, 61 miliardi). La scadenza media di questi titoli è (2011) compresa tra i 7,1 e i 9,2 anni, con la rilevante eccezione della Germania ove non supera i cinque anni. Le tensioni sui mercati finanziari connesse con la crisi del debito sovrano hanno condizionato la propensione al rischio degli investitori e di conseguenza mutato, oltre ai rendimenti, anche le durate: per un insieme di grandi gruppi industriali italiani che nell’ultimo decennio hanno emesso titoli in modo continuativo, nel 2011 la durata media delle emissioni si è attestata intorno ai sei anni, circa la metà del periodo precedente la crisi finanziaria.

Posto pari a 100 il totale del finanziamento esterno delle imprese, nella media dell’area euro il contributo delle obbligazioni è pari a circa il 15% con la parte restante coperta dai finanziamenti bancari. In Francia le due quote sono rispettivamente 29-71; in Germania 8-92.

Con una quota delle obbligazioni pari al 10%, l’Italia è in una situazione analoga a quella tedesca. Quella appena indicata è una sintesi di situazioni molto diverse: secondo l’ultima indagine Mediobanca, il contributo delle obbligazioni al totale del finanziamento esterno era nel 2009 pari al 4% per l’insieme delle medie imprese italiane, al 5% per le imprese italiane medio-grandi; sale al 35% per le cosiddette multinazionali italiane. In effetti, se si guarda alle emissioni (lorde) sui mercati internazionali, il numero degli emittenti italiani è molto ristretto (9 gruppi per un totale di 19 miliardi nel 2011, 14 gruppi e 14 miliardi nel 2010).

Con l’intento di spingere anche le imprese di più contenuta dimensione a diversificare la struttura del finanziamento, nel decreto sviluppo 2012 approvato a metà dello scorso anno sono state introdotte misure dirette a consentire un più facile accesso al mercato del debito. Previo il rispetto di alcuni requisiti, le imprese minori possono emettere cambiali finanziarie (fino a 18 mesi) e obbligazioni (durata di almeno tre anni) beneficiando di un trattamento fiscale sostanzialmente allineato a quello più favorevole riservato alle società quotate. Secondo stime del Ministero per lo Sviluppo sarebbero alcune centinaia le società potenzialmente interessate dal provvedimento.

IL PREOCCUPANTE DETERIORAMENTO DELLA QUALITA’ DEI PRESTITI ALLE IMPRESE

Oltre al negativo andamento della congiuntura, ad ostacolare un più favorevole andamento del credito alle imprese è soprattutto il deterioramento di questa sezione del portafoglio prestiti. Alla fine di settembre 2012 (ultimo dato disponibile) il totale dei prestiti deteriorati (escluse le esposizioni ristrutturate) ammontava a 213 miliardi, dei quali il 56% (119 miliardi) sofferenze. Rispetto ad un anno prima l’insieme dei prestiti deteriorati risulta aumentato di 38 miliardi, dei quali 16 miliardi sofferenze e 12 miliardi incagli.

Nell’ambito dei prestiti deteriorati quelli attribuibili alle società non finanziarie sono il 67% (143 miliardi, dei quali 78 miliardi sofferenze e 49 miliardi partite incagliate). La quota appena indicata è superiore di circa 9 punti percentuali a quella che si rileva considerando il totale dei prestiti al settore privato non finanziario residente.

All’ultima rilevazione (settembre 2012) il tasso annuo di decadimento (cioè il rapporto annualizzato tra il flusso delle nuove sofferenze e il totale dei prestiti non in sofferenza all’inizio del periodo) è risultato per le imprese pari al 3,3%, più del doppio di quello attribuibile alle famiglie (1,4%). Alla fine del 2011 era ancora al 2,7% (quindi un quinto circa in meno).

Nel bimestre ottobre-novembre 2012 è ancora aumentata l’esposizione nei confronti dei debitori segnalati per la prima volta in sofferenza. Inoltre, l’ammontare delle partite incagliate risulta (settembre 2012) nel caso delle imprese cresciuto in un anno del 27% (oltre 10 miliardi in più). A quest’ultimo proposito si deve osservare che dalla matrice di transizione tra classi di anomalia relativa al 2011 risulta che nell’arco di quell’anno la quota delle partite incagliate trasferite nella classe di anomalia più grave (cioè a sofferenza) è pari a quasi un quarto dell’ammontare totale e sensibilmente maggiore della quota dei prestiti incagliati che registrano un miglioramento di status (23% vs 9%).

Tra il 2011 e il 2012 il quadro complessivo non è certo migliorato né dal lato della congiuntura economica né da quello altrettanto importante del ritardo dei pagamenti. Secondo il Cerved la percentuale delle imprese in grave ritardo nei pagamenti (oltre 2 mesi dopo la scadenza concordata) è passata a livello nazionale dal 5,3% del secondo  trimestre 2011 al 6,6% del terzo trimestre 2012. Il Nord Ovest è al 5,1%, il Nord Est al 4,6%; tre regioni (tutte nel Sud) sono a doppia cifra, altre tre regioni sono oltre il 9% (tra esse il Lazio). Le imprese industriali sono al 5% mentre ben al di sopra la media  nazionale sono le aziende agricole (9,4%), le imprese che operano nel campo della logistica e trasporti (7,9%), quelle dei servizi non finanziari (7,0%), quelle della distribuzione (6,8%).

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Per alleviare il problema del ritardo dei pagamenti della Pubblica Amministrazione (tra i 70 e i 95 miliardi a seconda della fonte) a metà dello scorso anno è intervenuto il governo. Il limitato intervento (10 miliardi) messo a punto nel maggio 2012 è però entrato nella fase operativa solo alla fine del gennaio scorso.

La Banca d’Italia ipotizza che il tasso di ingresso a sofferenza dei prestiti alle imprese continui ad aumentare fino a metà 2013. Ci si attende che la velocità della successiva discesa sia molto contenuta. Le analisi econometriche, mettono in evidenza come la possibilità di predire correttamente l’andamento del tasso di ingresso a sofferenza sia più modesta nel caso delle imprese di quanto non si verifichi per le famiglie e diminuisce rapidamente all’allungarsi dell’orizzonte di previsione. Si deve aggiungere che sul tasso d’ingresso a sofferenza delle imprese incide ampiamente il problema del ritardo dei pagamenti11, una grandezza finora difficilmente inclusa nei modelli e comunque non facilmente considerabile (soprattutto per ciò che concerne i rapporti con la Pubblica Amministrazione). 

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