Un po’ l’avevano messo in conto, ma poi hanno visto i ricorsi alla Corte costituzionale e preso atto che sulle riforme si continua a giocare la partita della vita. Uno scontro tra centro e periferia con in mezzo gare di appalto, progetti, investimenti. I ministeri incaricati di regolamentare le procedure di impatto ambientale si sono visti sbarrare il passo da Lombardia, Sardegna e Valle d’Aosta.
Tutte e tre hanno impugnato la legge di riforma della Via sostenendo che intacca e limita i poteri loro e quelli delle Province autonome. La legge (una riforma di ciò che già c’era) è stata pubblicata il 6 luglio sulla Gazzetta Ufficiale. È costata tempo e polemiche, sebbene si trattasse di un recepimento della direttiva europea 2014/52/UE. I segnali di un fronte antiriforma, comunque, si erano avuti nella Conferenza Stato-Regioni.
Ma il governo è andato avanti per accelerare le migliaia di autorizzazioni in corso. Basti pensare a quelle sulle perforazioni, sull’Ilva, sull’ampliamento di siti esistenti, sul nucleare e così via. Davvero le prerogative degli enti territoriali sono state massacrate? Lo dirà la Corte Costituzionale. Il punto, evidentemente, è anche politico e risente di spinte autonomiste.
A Milano si sostiene che nel recepimento della normativa europea lo Stato ha toccato competenze che la Costituzione individua, invece, come potestà regionale. Negli anni questa autonomia ha prodotto, però, regole valide nei singoli ambiti, oggetto di liti, ritardi e blocco di cantieri. Non è stato facile per imprese ed investitori districarsi tra norme nazionali, regionali e regolamenti derivati.
La legge di luglio riguarda l’insieme dei procedimenti articolati in Vas (valutazione ambientale strategica), Aia (autorizzazione integrata ambientale), Via (valutazione di impatto ambientale) specifica. Nei ricorsi alla Corte si contesta persino il mancato coinvolgimento nella determinazione dei costi amministrativi delle autorizzazioni e l’introduzione di disparità tra procedimenti di competenza statale e regionale.
Nella sostanza lo scontro è su undici norme, ritenute incostituzionali sulle quali i Governatori avevano presentato emendamenti poi non accettati dal governo. L’Italia ha bisogno di snellire le procedure, se non altro in virtù di principi comunitari. Al contrario la rivendicazione di autonomia territoriale rimette a figure ed organismi lontani da Roma la responsabilità di decisioni strategiche. Il timore che tutto è accentrato si accompagna alla rapidità dei procedimenti.
Forse le nuove regole andavano concertate meglio e fare a meno di opposizioni legali che congelano iniziative necessarie allo sviluppo del Paese. Anche a sfruttare questo periodo in cui l’economia è in ripresa. Deve far riflettere che i giudici dovranno pronunciarsi anche su valutazioni ambientali già avviate in loco e che ora faranno capo ai ministeri e al governo centrale. Che fine fa il principio della vicinanza del territorio ai cittadini, si chiede la Regione Lombardia?
Con la legge di luglio alle Regioni- dice una nota, è rimasto l’esercizio delle funzioni amministrative, potendo intervenire solo su aspetti meramente operativi. Dal Trentino, arriva la contestazione sulla “franchigia” di 120 giorni per adeguare le regole locali a quelle nazionali. Non sarà facile uscire da questo stallo, mentre l’Ue ha già in campo le sue norme.