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Immuni al via in 4 Regioni: lunedì i primi dati

immuni.italia.it

Mezzo milione di download solo nelle prime 24 ore. Un buon inizio, anche se per dare un senso all’App Immuni, quella che dovrà fornire al Ministero della Salute dati utili per tracciare la diffusione del contagio sul territorio, occorrerà secondo gli esperti che la scarichi più della metà della popolazione. E anche che gli utenti siano in grado di sapere se sono positivi (quindi facciano il test) e che si ricordino o abbiano voglia di condividere l’informazione, attivando il segnale Bluetooth, senza il quale sarà impossibile inviare notifiche alle persone che hanno incontrato. Intanto però, dopo settimane di polemiche (Immuni è stata annunciata lo scorso 16 aprile), si parte: l’app è scaricabile e in quattro Regioni (Liguria, Abruzzo, Puglia e Marche) parte la sperimentazione. Vale a dire che in quelle Regioni verranno elaborati i primi dati e inviate le prime notifiche, anche se non prima di lunedì 8 giugno.

Sul fronte della privacy, dopo tante incertezze è arrivato lunedì 1° giugno il nulla osta del Garante Antonello Soro. In effetti l’app non chiede nessun dato sensibile, ma solo l’età (che deve essere maggiore di 14 anni) e la provincia di residenza. Proprio per questo, le prime reazioni degli utenti che l’hanno scaricata sono positive: solo il 12% ha espresso commenti negativi, mentre Immuni è dalla stragrande maggioranza considerata una app poco invasiva e agile da utilizzare. Tuttavia, stando ai sondaggi, sono ancora in pochi (o non abbastanza) coloro che si fidano della sua effettiva utilità: Public Affairs Advisors ha rilevato che solo il 44% del campione rappresentativo della popolazione maggiorenne si dichiara disponibile a scaricarla. Un altro 40% invece la boccia e un 16% deve ancora decidere cosa fare.

C’è poi da considerare anche il gap digitale. Non tutti gli italiani possiedono uno smartphone abbastanza recente da essere tecnologicamente abilitato a supportarla. Ci sono anche timori sul consumo energetico legato all’utilizzo del Bluetooth h24 (necessario per far svolgere ad Immuni la propria funzione), ma la scheda tecnica dell’app garantisce che il sistema utilizza la tecnologia Low Energy, e che non aggancia nessun tipo di dato di geolocalizzazione, incluso il GPS. I dati salvati sullo smartphone rimangono criptati e non danno alcuna indicazione sul proprietario, e come è noto da tempo saranno salvati sul dispositivo al massimo fino al 31 dicembre 2020. “E’ il ministero della Salute che raccoglie i dati – precisa il prospetto informativo -, che comunque verranno usati solo per contenere l’epidemia Covid-19. I dati vengono salvati su server in Italia e gestiti da soggetti pubblici”.

L’app Immuni, come più volte ricordato, non è obbligatoria, e come specifica ancora la startup Blending Spoons, che l’ha creata, “non è un dispositivo medico. Non può in alcun caso sostituire un medico: non fa e non può fare diagnosi”. Ora rimane solo da vedere quanti italiani aderiranno a questo importante progetto, che in altri Paesi nel mondo è già stato lanciato, finora con scarso successo: la platea, esclusi gli under 14, è di 52 milioni di persone. Serve che in più di 26 milioni scarichino l’app che sarà il simbolo della Fase 3.

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