Ora non sono più le politiche di austerità, l’Euro o la crisi economica a minacciare la costruzione europea, ma a mettere a rischio il processo di integrazione del vecchio continente sono due questioni eminentemente politiche: l’immigrazione e il referendum inglese. Con allarmante coincidenza di accenti due personaggi di primo piano di Bruxelles, il ministro degli esteri Federica Mogherini, ed il presidente del parlamento europeo Martin Schulz, hanno parlato di rischio di disintegrazione se non si troverà il modo di fare una politica comune di fronte all’immigrazione. Sulla stessa lunghezza d’onda il nostro sottosegretario agli Esteri, Benedetto Della Vedova, nel corso di un seminario organizzato dalla Fondazione Universitaria Economia Tor Vergata, ha parlato delle due crisi politiche che rischiano di far naufragare il sogno di un’ Europa Unita, e cioè l’incapacità di gestire in maniera unitaria il fenomeno dell’immigrazione e la minaccia del referendum inglese che potrebbe portare ad un distacco del Regno Unito dal continente.
Secondo Della Vedova i politici europei non sono stati in grado di proporre delle politiche capaci di vincere le paure, spesso irrazionali, dei propri elettori ed hanno boicottato qualsiasi tentativo di fare una politica comune di accoglienza all’immigrazione e , se necessario, di contrasto. Il risultato è stato che si è dato spazio a spregiudicate formazioni politiche che hanno cavalcato le paure ed il malessere sociale riproponendo la difesa delle identità nazionali, il contrasto all’islamizzazione dell’Europa, il rifiuto verso le rigidità della burocrazia di Bruxelles. I paesi dell’Est come Ungheria e Polonia, che pure negli ultimi anni hanno beneficiato alla grande dei fondi europei e dell’apertura dei mercati, sono ora quelli dove fa più presa l’impulso nazionalista nell’illusione che si possa stare nel mercato unico europeo senza prendere alcun impegno politico e senza rispettare le regole comuni. Ma questo, come insegna la storia passata dell’Europa non è nella logica delle cose : il nazionalismo prima o poi porta al protezionismo economico quindi rischia di saltare non solo la moneta unica ma anche il mercato unico non sarà più possibile.
Anche il premier inglese David Cameron sembra essersi reso conto dei pericoli che la disgregazione dell’Europa potrebbe comportare per lo stesso Regno Unito ed ha cominciato a mettere in guardia i suoi concittadini sui benefici portati da un distacco dell’Europa. ” Non crediate che fuori dall’Unione vi sia la terra del latte e del miele ” ha detto con una efficace citazione dalla Bibbia. Come del resto ha sottolineato Della Vedova, non si capisce bene cosa la Gran Bretagna, che già oggi gode di molti privilegi a Bruxelles, possa aspettarsi da un distacco dall’Europa. Negli ultimi secoli l’Inghilterra non si è mai disinteressata degli equilibri tra le potenze europee anche se impegnata a costruire un grande impero. Ma oggi la situazione è mutata. Non c’è più una politica imperiale alla quale dare la precedenza e gli equilibri europei possono essere meglio salvaguardati stanno dentro i meccanismi di Bruxelles che isolandosi oltre la Manica.
Ma nella società della comunicazione-spettacolo gli urlatori che confezionano ricette semplicistiche, hanno spesso la meglio su chi vuole ragionare con pacatezza e sulla base di analisi approfondite. Ad esempio il prof. Paganetto ha illustrato nel corso del seminario una serie di dati che dimostrano senza ombra di dubbio due verità taciute dai populisti: che l’immigrazione non influisce sulla disoccupazione dei residenti, né ci sono effetti sui salari ( quindi la disoccupazione quando c’è, dipende da altri fattori ), ed in secondo luogo che gli aiuti allo sviluppo dei paesi poveri, anche qualora riuscissero nel loro intento, non frenerebbero l’emigrazione che anzi riceverebbe nuovo impulso dalle accresciute disponibilità economiche di una massa maggiore di soggetti. Naturalmente l’immigrazione di grandi masse di individui crea gravi problemi che la politica deve affrontare. Il primo è quello degli squilibri che si creano nella distribuzione dei costi e dei benefici tra i diversi strati della popolazione. Bisogna sostenere coloro che sono o si sentono, danneggiati e trasformare un problema in una opportunità di crescita per l’intero paese.
Non si tratta di problemi di poco conto. Ma bisogna vincere questa furia distruttiva per cui se c’è qualcosa che non va nella costruzione europea, si preferisce abbattere l’edificio invece di concentrare le energie su cosa fare per farlo funzionare meglio. In Francia o in Germania chi si lamenta della politica dei propri governi non pensa sia meglio dividere il paese in tanti pezzetti. Quindi se ci troviamo di fronte ad una battaglia politica bisogna abbandonare ogni timidezza e dire forte e chiaro ai tanti sfasciacarrozze che l’Europa è “il nostro destino migliore” e che dobbiamo impegnarci per farla funzionare meglio perché il nazionalismo, come abbiamo già visto in passato, non è la soluzione ma la fonte di ulteriori rivalità e conflitti.