Invece dell’accordo, è arrivato un ultimatum. Il ministro dello Sviuppo, Carlo Calenda, ha detto che se la Regione Puglia e il Comune di Taranto non ritireranno il ricorso al Tar sull’Ilva, la trattativa può considerarsi conclusa e lo stabilimento siderurgico chiuderà i battenti il 9 gennaio.
“Continueremo ad andare avanti con l’investitore – ha precisato Calenda – ma se la condizione è che lo Stato metta una garanzia contrattuale sull’operazione, allora non posso fare assumere allo Stato la responsabilità di 2,2 miliardi di euro per pagare il conto del ricorso” presentato dagli enti locali sul piano ambientale dell’acciaieria.
“Abbiamo fatto il massimo – ha aggiunto il ministro – Il sindaco ha detto che avrebbe ritirato il ricorso e non lo ha fatto. Io ho detto che non mi sarei seduto se non si ritirava il ricorso ed alla fine l’ho fatto lo stesso. Io da qui non vado avanti. Il governatore ed il sindaco si assumeranno le loro responsabilità. Io non posso far assumere al governo italiano il costo dei ricorsi del governatore e del sindaco di Taranto. Io non lavoro con la spada di Damocle del ricorso”.
Per il governatore della Regione Puglia, Michele Emiliano, il tavolo sull’Ilva può proseguire “anche senza Calenda”. Il governatore, parlando al termine dell’incontro al ministero con il ministro e gli altri rappresentanti istituzionali, ha parlato di comportamento “da sceneggiata” da parte dello stesso Calenda quando la riunione si era aperta “in un clima positivo in cui abbiamo anticipato che avremmo revocato le richieste cautelari e abbiamo presentato i punti su cui non eravamo d’accordo e su cui il Dpcm doveva essere strutturato”.
“Poi – ha aggiunto Emiliano – ad un certo punto c’è stato uno scambio di messaggi, di telefonini tra De Vincenti e Calenda e poi Calenda ha avuto una crisi di nervi e cosa sia accaduto lo deve spiegare lui. Si è alzato, ha fatto un intervento durissimo ed è andato via”.
“Noi siamo dell’idea che siccome Calenda è un ministro pro-tempore – ha aggiunto Emiliano – e il tavolo si è insediato, a mio giudizio può essere gestito da tutti coloro che vogliono partecipare. Ci riusciremo anche senza di lui se è intenzione trovare una soluzione visto che il ministro fa solo da mediatore”.
Al termine dell’incontro il segretario generale della Fim Cisl Marco Bentivogli ha ricordato come “in tutta questa vicenda dal 2012 ad oggi ci sono diffuse responsabilità, in particolare degli enti locali, a rallentare nei fatti la possibilità di attuare quanto prescritto dal Piano ambientale. Per cui oggi è forse giunta l’ora che ognuno torni a fare la propria parte e faccia il proprio pezzo per quello che gli compete.”
A tal proposito Bentivogli ha richiamato il presidente della Regione “perché la smetta di dire che c’è una parte che difende i bambini e la città di Taranto dai tumori e l’inquinamento e ce n’è un’altra: il sindacato che non se ne occupa. E’ inaccettabile da ascoltare da parte di tutti in particolare da chi ricopre ruoli istituzionali. Il Tema vero è il fare le cose, quindi ognuno torni a fare la propria parte per quello che gli compete e che deve fare”.
“Nel quartiere Tamburi e a Taranto l’odio non c’è per la fabbrica, ma c’è, per l’inconcludenza da parte delle amministrazioni locali a rendere ambientalmente sostenibile la produzione dell’acciaio. Per trovare una soluzione va ritrovato il buonsenso che fino ad oggi non c’è stato, i tempi dell’eventuale giudizio del ricorso li conosciamo e rischiano di far saltare tutto”, – ha concluso il segretario della Fim Cisl.