L’improvviso scivolone che ha messo a terra l’Ilva, avviata sulla strada giusta, ripropone la questione delle relazioni industriali in un grande gruppo teso al rilancio così come fu, pochi anni addietro, a Melfi con la Fiat. Le liturgie riemerse nei comportamenti sindacali e la durezza un poco populista sfoderata dal ministro Calenda sui gradini del ministero di Via Veneto non devono trarre in inganno e nemmeno lasciare a macerare nei tini troppo a lungo la vendemmia preelettorale.
Acelor Mittal e i Marcegaglia non sono dei dilettanti dell’acciaio come gli algerini di Piombino . Hanno sempre parlato chiaro in termini di quantità di acciaio da produrre e di personale necessario. I vincoli ambientali e strutturali dell’Ilva si sommavano nelle analisi alla strategia di un Gruppo che è presente da anni in tutti i paesi d’Europa e che ha sicuramente calibrato il nuovo impegno italiano allo sviluppo complessivo del proprio impero e alle naturali variabili dei cicli di mercato.
Lo abbiamo più volte scritto su FIRSTonline che questo era il “confine” della proposta Arcelor-Mittal-Marcegaglia. La cordata di Jindal avrebbe avuto più mani libere sul ricco mercato Europeo e in quello del Mediterraneo non avendo alcun insediamento produttivo nel vecchio Continente. Ma i numeri, l’offerta e la progettualità del gruppo Arcelor hanno vinto, anche se di poco, sulla proposta di Jindal affiancata a quella di imprenditori italiani non di poco conto.
Oggi Arcelor ha presentato un piano industriale nella logica di una “proprietà piena” che significa responsabilità rispetto all’obbiettivo di un equilibrio dei conti in grado di salvaguardare e salari, gli investimenti e la concorrenzialità. Gli occupati risalgono a 10.000 rispetto agli 8mila dell’offerta. Le eccedenze saranno garantite dall’Ilva Commissariata in attività finalizzate all’ambiente e in misura tale da salvaguardare il reddito.
Il nodo e la “meraviglia” del Ministro si fondano sulla decisione di Arcelor di assumere ex novo tutti i dipendenti, di azzerare una serie di istituti e di regole ereditate dall’Ilva pubblica e poi dai Riva. Misure che colpiscono indistintamente i salari di fatto, le nicchie di privilegio note e meno note, e di utilizzare nelle relazioni giuridiche tra le parti la normativa del Jobs Act. Chi ha esperienza di confronti sindacali sa che la posizione di Arcelor si presta ad una trattativa.
Il posizionamento sulla…collina serve a preparare un confronto dal quale l’azienda può ritornare in breve tempo al governo di tutti i fattori produttivi che sono strettamente connessi alla competitività di un prodotto che ha perso negli anni, ad esempio, il cliente Fiat: cioè un milione di auto con il relativo acciaio incorporato.
Si illude chi pensa di annullare la gara e di poter ricucire un rapporto con Jindal nascondendosi il fatto che, se richiamati a Taranto, l’indiano, il cremonese Arvedi e il bellunese Del Vecchio sarebbero indotti a far finta di nulla e a riproporre “in toto” le vecchie proposte.
È più realistico iniziare con discrezione la trattativa con l’obbiettivo primario di salvaguardare concretamente “i salari” reali e non gli accordi ad essi connessi di natura politico-sindacale. Poi va trovato l’accordo per rimettere l’azienda nelle condizioni di programmare gli investimenti e le flessibilità nei servizi (portuali, logistici e di movimentazione) che tutta la siderurgia gode nel mondo. Infine la lezione che uscirà da Taranto dovrà far ripensare ad una politica generale per l’acciaio italiano minacciato dal dumping cinese, dal protezionismo di molti mercati e dalla ferita che non si rimargina di Piombino.