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Ilva, Taranto: Riva e le 2 cordate aprono nuovi scenari

Le ingenti somme versate dalla famiglia Riva per la bonifica ambientale di Taranto e la solidità industriale e finanziaria delle due cordate concorrenti (Arvedi-Jindal e Mittal-Marcegaglia) allontano finalmente lo spettro della chiusura del più importante polo siderurgico italiano e aprono prospettive di rilancio in cui però “l’offerta in danaro non sarà nè risolutiva nè determinante”.

Ilva, Taranto: Riva e le 2 cordate aprono nuovi scenari

L’ingente somma versata dalla famiglia Riva ai commissari dell’Ilva per chiudere transattivamente il contenzioso tarantino e le offerte avanzate per rilevare le attività del più importante polo siderurgico del Paese allontanano lo spettro della chiusura del sito dopo anni durissimi di incertezze proprietarie, di interferenze e di discutibili iniziative della Magistratura unite alla altalenante posizione assunta più volte dalla politica locale e regionale, ieri spesso supina poi, infine, assai intransigente ed incapace di assecondare la strada per una nuova stagione di risanamento e di rilancio industriale.

Le offerte avanzate da due Gruppi incardinati nella siderurgia mondiale assicurano un esito positivo fatto di investimenti e di sinergie internazionali, anche se i due concorrenti partono da realtà assai diverse e con strategie industriali molto diverse.

Da un lato il colosso (indiano-inglese) di Lakshmi Mittal in alleanza con la famiglia Marcegaglia di Mantova propone per Taranto una soluzione che tiene conto, in primo luogo, della articolazione e della localizzazione attuale dei suoi interessi europei. La lussemburghese Acelor Mittal è da qualche decennio in Europa il numero uno con impianti dislocati in tutto il continente e con produzioni di acciaio sia col ciclo integrale che col forno elettrico in grado di sostenere l’intera filiera di prodotti piani, di tubi e dei lunghi mercantili. Un colosso europeo che unitamente agli interessi indiani fanno di Mittal il secondo produttore mondiale dopo i cinesi. La famiglia Marcegaglia lo affianca come grande trasformatore e utilizzatore di acciaio e quindi uno sbocco garantito di buona parte della produzione tarantina. Di contro i bilanci dell’azienda di Gazoldo non sono più brillanti come un tempo ma Emma Marcegaglia può assicurare alla cordata entrature politico-sindacali di non poco conto.

Sul versante opposto l’indiano Jindal ha trovato in Giovanni Arvedi il partner italiano capace di affiancarlo nella difficile partita. Jsn Steel non ha impianti in Europa e pertanto Taranto rappresenterebbe la pedina centrale e strategica per il grande Gruppo di Dehli. Inoltre in Acciaitalia si unirebbero Leonardo Del Vecchio e la Cassa Depositi e Prestiti. Un arco di forze imprenditoriali e finanziarie capaci di garantire il governo del grande centro siderurgico.

Se per Mittal il risanamento potrebbe passare dalla chiusura di un altoforno e da una caduta sostanziosa delle capacità produttive, per la cordata di Jindal la nuova tecnologia che Arvedi ha sperimentato e messo in ciclo a Cremona potrebbe rappresentare a Taranto un sensibile contributo ecologico ed ambientale senza intaccare la capacità produttiva del sito. Produrre coils e nastri in parte da forno elettrico eliminerebbe quote non indifferenti di carbone, di polveri da minerale e di emissioni di CO2. La prospettiva a breve dell’uso del gas naturale ( ormai la condotta è sul bagnasciuga pugliese) per accelerare i processi di fusione gioca certamente più a favore di Arvedi- Jindal che a Mittal-Marcegalia.

A questo punto l’offerta in danaro non sarà né risolutiva né determinante.

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