A sostenere l’immagine della cordata Mittal-Marcegaglia per l’acciaio di Taranto è entrato in pista Giorgio Zambeletti, vecchia volpe di Assolombarda, comunicatore di aziende di rango tra cui, non molti anni addietro, dello stesso Arvedi oggi schierato con Jindal, Del Vecchio e CDP sul fronte opposto di quello che deve presidiare. Il lungo comunicato illustrativo lanciato a man bassa su tutti i computer che contano (politica, economia, giornali, Bruxelles) mette in luce i passi che il potente industriale anglo-indiano intende compiere per il rilancio del sito produttivo tarantino.
Le proposte che valgono il 50% dell’aggiudicazione si caratterizzano in un assestamento degli attuali livelli produttivi (circa sei milioni di tons), con un incremento della produzione di laminazione di altri quattro milioni utilizzando semilavorati provenienti dalle molte aziende del Gruppo sparse nell’intera Europa. Per gli investimenti tecnici ed ecologici si prevedono impegni per tre miliardi di euro così come quelli indicati dalla cordata di Jindal in una recente intervista.
La novità della cordata guidata a larghissima maggioranza da Mittal è l’annunciata partecipazione di Banca Intesa-Sanpaolo come finanziatore e, forse in un futuro, come azionista. D’altronde Mittal con il suo 80% del capitale dell’impresa tarantina non avrà difficoltà alcuna a cedere qualche quota senza perdere nessun margine di potere decisionale e di gestione.
La cordata di Jindal punta anch’essa all’obbiettivo dei dieci milioni di acciaio ma da produrre tutti nel sito di Taranto sia attraverso un massiccio investimento nel rifacimento dell’alto forno A6 che puntando decisamente ad una tecnologia (gas, preridotto) mirata al forno elettrico come si è ormai consolidata nella lunga esperienza innovativa di Arvedi. Jindal non ha impianti né in Europa né nel vicino Mediterraneo: è pertanto obbligato a tenere la barra produttiva e strategica in Italia.
Inoltre la maggioranza della società ha in Del Vecchio e in CDP due soci che non possono minimamente sottovalutare le attese e gli interessi dell’industria italiana. Riprendersi, ad esempio, le forniture alla Fiat in Italia vale oltre tre milioni di tons d’acciaio.
La differenza che porterà i Commissari all’assegnazione uscirà per il 50% soprattutto dalle buste dell’offerta economica (affitto d’azienda e poi piena proprietà) e dalla capitalizzazione riservata alla nuova società di gestione nell’impegnativa transizione dove gli ostacoli, come i particolari che si nascondono nella coda del diavolo, potranno riemergere dal contradditorio scenario politico-giudiziario che da anni aleggia sul dopo Riva.