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Ilva Taranto, ArcelorMittal può andarsene entro il 2020

FIRSTonline

L’accordo fra il governo e ArcelorMittal sull’ex Ilva di Taranto è stato firmato, ma le polemiche non si fermano. Anzi, si fanno ancora più furibonde, perché l’intesa consente al gruppo indofrancese di abbandonare lo stabilimento pugliese entro il 2020 pagando solo 500 milioni (a fronte di un prezzo d’acquisto inizialmente stabilito in 1,8 miliardi, cui andavano sommati gli investimenti) e lasciando la maggior parte del conto ai contribuenti italiani. Ma andiamo con ordine e vediamo nel dettaglio cosa prevede l’accordo.

ILVA: L’ULTIMO ACCORDO ARCELORMITTAL-GOVERNO

1) I pilastri dell’intesa

I punti fondamentali sono due:

2) La clausola d’uscita

Il nuovo contratto d’affitto prevede che AM InvestCo (la cordata guidata da ArcelorMittal) possa esercitare il recesso entro il 31 dicembre 2020 se il nuovo contratto d’investimento non sarà stato sottoscritto entro il 30 novembre. Come penale d’uscita, AM InvestCo dovrà versare allo Stato 500 milioni: sembra una cifra alta, ma in realtà, come fa notare Gianfilippo Cuneo sul Sole24Ore, rappresenta solo il 20% del free cash flow 2019 di ArcelorMittal, che probabilmente si rifarà con il rialzo in Borsa.

3) L’occupazione

In caso di permanenza, ArcelorMittal assicura che alla fine del piano industriale 2020-2025 impiegherà in tutto 10.700 dipendenti.

Sempre sul fronte occupazionale, lo Stato concederà la cassa integrazione e ArcelorMittal ha fissato al 31 maggio il termine entro cui trovare un accordo con i sindacati su come utilizzare la Cigs per “il raggiungimento della piena capacità produttiva”.

Le parti si impegnano poi a favorire la ricollocazione dei dipendenti rimasti all’amministrazione straordinaria.

4) Il ruolo dello Stato

L’accordo prevede un “investimento significativo” da parte dello Stato, pari “almeno a quanto ancora dovuto da Am InvestCo – si legge in una nota del consorzio – rispetto al prezzo originale di acquisto”, cioè 1,8 miliardi.

5) Il progetto industriale

Sempre ammesso che ArcelorMittal non faccia le valige entro fine anno, il piano industriale 2020-2025 prevede la riduzione del 30% dell’uso del carbone, il rifacimento degli impianti, l’adozione di tecnologie produttive rispettose dell’ambiente (come il forno elettrico) e in prospettiva l’uso dell’idrogeno. C’è anche l’impegno a completare le attività legate alla realizzazione dell’Aia (l’Autorizzazione integrata ambientale) e il rifacimento dell’altoforno 5, il più grande d’Europa. Si tratta probabilmente di un libro dei sogni, ma – al momento – sia lo Stato che ArcelorMittal hanno interesse a fingere di crederci.

BENTIVOGLI: “PAGANO I CONTRIBUENTI E MANCA UNA STRATEGIA”

I sindacati hanno accolto l’intesa in modo molto critico, come dimostra la nota congiunta di Cgil, Cisl e Uil diffusa mercoledì.

A questa reazione si è aggiunta quella di Marco Bentivogli, numero uno della sigla di categoria Fim Cisl, intervenuto giovedì ai microfoni di Radio Anch’io su Rai Radio1:

«Il nostro accordo del 6 settembre 2018 non garantiva solo 10.700 lavoratori, ma anche tutto l’indotto, la riqualificazione ambientale e il piano industriale. In base a quell’accordo, ArcelorMittal avrebbe pagato come prezzo d’acquisto 1,8 miliardi, mentre oggi non ha più questo obbligo: se va bene pagherà 500 milioni. E si fa passare come una cosa di sinistra far pagare ai contribuenti italiani quello che non pagherà il privato. Io non sono contrario a un intervento pubblico temporaneo, ma serve una strategia, invece arriveremo a novembre totalmente al buio. A maggio, poi, ci si chiederà di fare un accordo sindacale con occupazione ridotta e un ricorso alla casa integrazione che nel nostro accordo non era previsto. Il tutto con un riassetto dell’impianto che non ha nessuna giustificazione industriale. Taranto ha un acciaio di qualità prodotto con il ciclo integrale: esiste la tecnologia per riqualificare il ciclo integrale e renderlo sostenibile da un punto di vista ambientale, ma l’accordo prevede d’introdurre dei forni elettrici. Una scelta che non ha alcun senso dal punto di vista produttivo, perché quel tipo di acciaio si produce già nel Nord Italia».

E ancora, per quanto riguarda la possibilità che ArcelorMittal scelga di andarsene entro la fine del 2020:

«Ilva ha una storia di oltre 50 anni, di cui solo 17 sotto il controllo dei privati. ArcelorMittal è in carica dal primo gennaio 2019 e da allora si è cercato di dare le colpe di tutti i problemi agli ultimi arrivati: è abbastanza chiaro che non vedano l’ora di andarsene. La vicenda Ilva è un grande cartello che dice agli investitori internazionali: se avete dei soldi non venite in Italia, perché è un Paese inaffidabile».

CALENDA: “UNA FOLLIA REGALARE SOLDI AD ARCELORMITTAL”

Sempre a Radio Anch’io è intervenuto anche Carlo Calenda, ministro dello Sviluppo economico ai tempi del precedente accordo con ArcelorMittal:

«Siamo davanti a una follia italiana. Facciamo saltare un contratto vincolato, che peraltro ArcelorMittal stava rispettando, per poi rincorrere il gruppo e fare un accordo peggiore per noi. Se il governo riteneva che la revoca dello scudo penale non comportasse il diritto di recesso dal contratto, doveva andare in tribunale a dimostrarlo, non regalare ad ArcelorMittal una valanga di soldi, entrando nella società e facendo la metà degli investimenti, con una mezza nazionalizzazione che ben presto potrebbe diventare completa».

A quel punto, a pagare per gli investimenti, l’eccesso di personale e infine le perdite dell’ex Ilva non rimarrebbero che i contribuenti.

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Categories: Economia e Imprese