Che le manifestazioni di interesse per il più grande impianto siderurgico d’Europa (quello di Taranto) stiano entrando decisamente nella formalità della gara lo ha dimostrato il Corriere della Sera che, per la penna del suo più illustre giurista e collaboratore, ha messo in guardia tutti per l’illegittimità “in radice” delle decisioni di Governo assunte a tutela dei gestori presenti e futuri del sito e base fondamentale per garantire tutele certe e comportamenti conseguenti. Il più grande giornale d’opinione del Paese sembra schierarsi con le formalità procedurali che hanno portato più volte la Procura e la Magistratura tarantina ad annullare qualsiasi azione del Governo e dei commissari finalizzata alla dilazione dei tempi necessari (tecnologicamente e finanziariamente) al risanamento, alla ristrutturazione ed al rilancio dell’acciaio italiano. Per questo la spada di Damocle sulla testa dei proprietari e dei futuri dirigenti si aggiunge alla complessa causa della famiglia Riva che lamenta di essere stata espropriata e a quella altrettanto sottile e complessa della famiglia Amenduni titolare del 10% dell’impianto Ilva di Taranto.
Acelor–Mittal si è chiusa nel silenzio e ha lasciato parlare il socio di cordata Marcegaglia; così come a Giovanni Arvedi il suo possibile e defilato alleato turco della Erdemir. Cassa Depositi e Prestiti riconferma la possibilità di affiancarsi finanziariamente al miglior offerente come vuole fare anche Del Vecchio. Per ora le buone intenzioni sembrano lastricare il cammino di Taranto. Ma quelle che appaiono più agevoli possono portare anche all’Inferno. E l’industria meccanica ed impiantistica nazionale non può correre questo rischio. Nelle due cordate i pivot nazionali non appaiono del tutto all’altezza della sfida e delle attese. E’ pur vero che l’indiano Mittal può sventolare la bandiera di un primato che lo porta ad essere il numero uno al mondo ma nulla dice sulla quantità di acciaio garantita a Taranto immerso nel Mediterraneo ed in Europa, di fatto concorrente di molti impianti francesi e lussemburghesi da tempo in pancia al Gruppo. E poi, il socio Marcegaglia in che modo contribuirà all’acquisizione, al risanamento e alla gestione? E’ noto che l’industria mantovana nella sua storia non ha mai prodotto un chilo di acciaio ma ha calibrato la propria vicenda imprenditoriale come grande acquirente e trasformatore, imponendosi una strategia degli approvvigionamenti spaziando da mercato in mercato, di volta in volta secondo l’andamento dei prezzi internazionali. Inoltre i conti recenti del Gruppo non indicano un ingresso nella gara con capitali freschi e con investimenti sorretti dal cash-flow prevedibile. E’ più facile immaginare un conferimento dei cespiti in pancia alla storica Marcegaglia ed un travaso degli asset nella nuova company, dei debiti e dei crediti,delle attività e delle passività.
Per Giovanni Arvedi vale lo stesso spartito. Gli alleati turchi di Erdemir si sono sottratti dalla prima fila, confermando un interesse solo dopo che gli orizzonti della gara e delle offerte si saranno meglio chiarite. D’altronde anche per l’industriale di Cremona l’immettere nella new company le attività tradizionali aggiungendo quelle della triestina Servola e di Vobarno pare la strada più realistica dopo anni di magri bilanci e ancor di più oscuri futuri industriali. Vedremo.
Nel frattempo la tradizionale siderurgia bresciana del tondo ha compiuto alcuni piccoli ma significativi passi sul versante della riduzione delle capacità produttive e della integrazione impiantistica. Il default di 300 milioni di euro del Gruppo Stefana si è risolto con la chiusura della grande acciaieria di Ospitaletto. Nel sito (raccordato alla ferrovia Milano –Brennero e ai margini di due autostrade) l’Esselunga di Caprotti darà vita al più grande centro logistico e di trattamento dei prodotti per la sua rete commerciale. Spariscono così oltre un milione di tonnellate di acciaio e di tondo per cemento armato a sollievo dei gruppi restanti. Il piccolo laminatoio di profilati di Nave se lo è aggiudicato la Feralpi mentre l’acciaieria di Montirone e i suoi 300.000 metri di proprietà sono stati aggiudicati all’Alfa Acciai che potrà avere fuori dalla città e dai centri urbani un sito di servizi e di lavorazione del rottame finalmente raccordato alla ferrovia e in grado di alleggerire notevolmente l’impatto ambientale,logistico e strutturale dello storico stabilimento della Volta.