Commissariando l’Ilva il governo ha imboccato una via molto stretta e non priva di rischi ma che , forse, può consentirci di raggiungere i tre obbiettivi che anche il governo Monti si era posto e cioè: la salvaguardia del ciclo siderurgico nazionale, la difesa dell’occupazione e l’avvio della bonifica dell’area e degli impianti. Il Ministro Zanonato ha detto con chiarezza che il sito di Taranto può essere bonificato soltanto se continua a produrre.
Se ,invece, dovesse cessare di produrre ,cosi come voleva e come vuole tutt’ora il Gip dott.ssa Todisco , il sito di Taranto sarebbe ineluttabilmente destinato a diventare la più vasta area industriale dismessa d’Italia. Una Bagnoli alla ennesima potenza, condannata alla rottamazione e al degrado. Un disastro ambientale ,oltre che sociale ed economico, senza possibile rimedio!
La nomina del commissario di governo pone fine, cosi almeno si spera, alla pretesa dei Magistrati inquirenti di sostituirsi agli amministratori nella gestione del ciclo produttivo e alle autorità di governo nelle operazioni di bonifica. Alla Magistratura inquirente ( che soltanto in Italia è equiparata ai giudici ) spetta di acquisire le prove circostanziate delle asserite inadempienze degli amministratori per poterli rinviare a giudizio nel caso fossero ritenute congrue.
Ma la decisione se sanzionare le colpe con multe o con pene detentive potrà essere assunta soltanto da un giudice effettivamente “ terzo” e al termine di un approfondito contradittorio e di un dibattimento che ,sino ad ora ,sono mancati. Cosi avviene in tutti i paesi civili e cosi, purtroppo, non avviene in Italia. L’anticipazione delle multe ( con l’inqualificabile decisione di porre sotto sequestro cautelativo ben 8 miliardi di euro ) e quella delle pene ( con il prolungarsi degli arresti domiciliari per i Riva oltre il limite del ragionevole e della decenza giuridica ) non appartengono allo Stato di diritto ma alla barbarie giudiziaria nella quale , purtroppo, siamo precipitati.
Esautorare la proprietà e assumere in prima persona la responsabilità della gestione dello stabilimento per garantire che la bonifica e l’ attività produttiva procedano in parallelo è un atto estremo che soltanto il governo e il Parlamento possono assumere . Ma proprio perché è estremo questo atto deve avere un carattere eccezionale e una durata limitata nel tempo. Il suo scopo non può essere quello di espropriare i legittimi proprietari ma quello di garantire la continuità di una produzione che è vitale per l’economia nazionale e, al tempo stesso, di tutelare la salute dei cittadini mettendo in atto quelle misure che l’intervento della Magistratura inquirente ha , come ha dichiarato l’ex ministro Clini, gravemente ritardato.
Nel merito del provvedimento, e proprio per evitare pericolosi equivoci ,l’azione del commissario e quella del governo dovrebbe concentrarsi su tre punti essenziali. Il primo è quello della ripresa della attività produttiva a Taranto. Lo stabilimento può generare le risorse necessarie per fare la bonifica e gli investimenti soltanto se è pienamente produttivo. L’efficienza produttiva è la condizione perché l’Ilva possa davvero risanarsi sia sotto il profilo ambientale che sotto quello economico e di mercato. Ma l’efficienza è possibile soltanto se il Commissario saprà riconquistare la fiducia dei quadri e dei tecnici che, per timore della magistratura, hanno dato le dimissioni in massa.
Il secondo punto su cui ci si dovrà concentrare è quello della bonifica e della messa a norma degli impianti. Questo processo dovrà avvenire nei tempi previsti dalle nuove normative europee che entreranno in vigore a partire dal 1 gennaio del 2014, né prima né dopo . L’area a caldo dovrà essere ambientalizzata, cosi come andrà risolto il problema dello stoccaggio delle materie prime . Ma ,anche in questo caso, tutto andrà fatto tenendo conto del tempo necessario per farlo e dei limiti oggettivi che simili interventi hanno. Per essere del tutto chiari : Taranto fornisce tutti gli altri stabilimenti siderurgici Italiani, è l’unica area a caldo di cui il paese dispone ed è vitale per la sopravvivenza della siderurgia nazionale . Lo stesso futuro di Taranto dipende dalla sua area a caldo. Si può “ambientalizzarla” attenendosi agli standards europei e internazionali oppure si può chiuderla.
La Magistratura inquirente vuole chiuderla perché la considera , sulla base di dati che non sono mai stati oggetto di un vero contradittorio, come la fonte di tutti i mali della città, come il reato in se. E considera i suoi prodotti ( i coils) come corpo del reato. Il governo ritiene invece che la produzione a caldo debba continuare ,che sia possibile mantenere questa attività entro i limiti previsti dall’ Aia applicando le opportune misure e che ,pertanto ,il Commissario debba potersi muovere in questa direzione senza che la magistratura inquirente ne ostacoli, in modo elusivo o apertamente arbitrario, l’azione. Si tratta di due prospettive diametralmente opposte fra le quali si deve scegliere .
Se la scelta non fosse quella della continuità produttiva dell’area a caldo o se permanessero dei dubbi in proposito allora sarebbe preferibile dirlo subito con chiarezza lasciando agli azionisti la decisione , che ad essi e ad essi soltanto compete, di chiudere l’impianto di Taranto e di ricercare un’altra area fuori dall’Italia ( in Libia o in Albania ad esempio) nella quale creare ex novo un centro siderurgico per poter continuare a rifornire il paese di coils oppure se uscire definitivamente dal settore . Infine, ma non per ultimo, il governo e il Parlamento debbono assumere ,in modo assolutamente chiaro e non revocabile, ’impegno a restituire, dopo un ragionevole periodo di tempo ( 18/30 mesi ), ai legittimi proprietari la società . Se cosi non fosse o se permanesse anche solo l’ombra di un dubbio in proposito la credibilità dell’Italia per gli investitori sia esteri che nazionali crollerebbe . Anche per questo sarebbe stato preferibile che il decreto fosse più delimitato e circostanziato. Che fosse cioè più simile al “blind trust anglosassone che non al commissariamento previsto dalla c.d. legge Marzano.
Il vago riferimento a settori strategici e al mancato adeguamento alle norme ambientali di legge come motivi di per se sufficienti a commissariare una impresa apre il varco a possibili arbitri. Oggi la norma è fatta su misura per l’Ilva ma domani potrebbe essere applicata ad altre imprese sulla base di motivi sociali e politici contingenti che potrebbero confliggere in modo irreparabile con il diritto di proprietà che è , e resta, la base di ogni libera economia di mercato, oltre che della democrazia e della liberta in quanto tali. E’ un limite questo che non si può e non si deve valicare. Mai e per nessuna ragione.