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Il welfare aziendale conquista anche le Pmi: in 8 anni triplicate le aziende che offrono servizi di alto livello

Secondo il Welfare Index Pmi 2024 di Generali Italia, le Pmi italiane stanno sempre più adottando programmi di welfare, focalizzandosi sulla conciliazione vita-lavoro (56,4%) e altri benefici come salute, assistenza e previdenza. Il rapporto ha anche riconosciuto 142 Pmi come Welfare Champion con il massimo rating

Il welfare aziendale conquista anche le Pmi: in 8 anni triplicate le aziende che offrono servizi di alto livello

Il welfare aziendale sta guadagnando terreno in modo significativo tra le piccole imprese. Attualmente, il 56,4% delle prestazioni offerte ai dipendenti si concentra sulla conciliazione tra vita privata e lavoro. Salute e assistenza, previdenza, tutela dei diritti, diversità e inclusione seguono da vicino, ciascuno con un tasso di adozione superiore al 50%. Inoltre, cresce l’impegno delle aziende nel sostenere le famiglie nell’educazione dei figli, con il 10% delle aziende attive in questo settore.

È quanto emerge dal rapporto Welfare Index Pmi 2024 di Generali Italia, che ha il patrocinio della presidenza del Consiglio dei ministri e vede la partecipazione delle principali Confederazioni italiane. Il report ha coinvolto 7.000 aziende con un numero di dipendenti compreso tra 6 e 1.000, triplicate rispetto alla prima edizione e rappresentanti la molteplicità del tessuto imprenditoriale italiano. Il report ha assegnato il massimo rating 5W a 142 imprese Welfare Champion, un incremento significativo rispetto alle 22 del 2017.

Nel dettaglio, il 75% delle piccole e medie imprese italiane ha superato il livello medio di welfare aziendale, offrendo prestazioni concordate con i sindacati che vanno oltre i contratti nazionali. Il numero di Pmi con livelli elevati di welfare aziendale è triplicato dal 2016 al 2024, passando dal 10,3% al 33,3%, con un aumento dell’8% negli ultimi due anni. Anche le aziende con livello medio di welfare sono aumentate, passando dal 51% al 75%. Al contrario, le imprese che si limitano al minimo sindacale, ovvero all’adozione delle misure previste dai contratti collettivi, sono diminuite dal 48,9% di otto anni fa al 25,5%.

Incremento delle prestazioni di welfare

Le tendenze nel welfare aziendale si osservano in tutti i settori produttivi e in tutte le dimensioni aziendali. Sebbene le grandi e medie imprese siano avvantaggiate dalla maggiore disponibilità di risorse e personale dedicato, anche le piccole imprese con meno di dieci dipendenti raggiungono un livello elevato di iniziativa nel 20% dei casi. Il gap tra Nord e Sud non sono così marcate come in altri ambiti economici e sociali.

La disponibilità di competenze professionali dedicate al welfare aziendale è un elemento cruciale. Attualmente, solo il 30,7% delle imprese dispone di queste competenze, ma questa percentuale sale al 66,8% nelle aziende con un livello di welfare elevato.

Un altro fattore determinante è la capacità delle imprese di coinvolgere i lavoratori per identificarne i bisogni e rispondere alle loro esigenze. Il 70,8% delle imprese con un livello di welfare elevato organizza incontri collettivi o individuali con i dipendenti per questo scopo, distinguendosi nettamente dalle altre aziende.

In sintesi, nonostante le diverse dimensioni e risorse, le aziende di ogni tipo stanno adottando iniziative di welfare aziendale, con effetti positivi sulla soddisfazione dei lavoratori e sulla coesione sociale.

Il ruolo del welfare aziendale in Italia

In Italia, una parte significativa della spesa per il welfare è sostenuta direttamente dalle famiglie: il 22% della spesa sanitaria, il 71% della spesa assistenziale per bambini e anziani, e il 16% della spesa per l’istruzione. Nel 2023, le famiglie italiane hanno sostenuto una spesa sociale di 140 miliardi di euro, pari a 5.600 euro per nucleo familiare. Questo sistema individuale è inefficiente, costoso e iniquo, gravando maggiormente sulle famiglie meno abbienti. Negli ultimi anni, le fasce più vulnerabili hanno rinunciato a servizi essenziali per salute, qualità della vita e istruzione.

Tradizionalmente, la famiglia è stata la principale rete di protezione sociale, promuovendo la solidarietà tra generi e generazioni. Tuttavia, le trasformazioni sociali e demografiche degli ultimi decenni, accelerate negli ultimi anni, hanno aumentato le responsabilità familiari, sovraccaricandole di oneri. L’instabilità e la frammentazione dei nuclei familiari sono tra i principali fattori di questo cambiamento, con un terzo delle famiglie composte da una sola persona e il 10,7% da genitori soli con figli a carico.

L’invecchiamento della popolazione ha destabilizzato l’equilibrio tra le generazioni. Il lavoro di cura degli anziani, infatti, è rimasto per il 67% a carico dei familiari, spesso senza il supporto di adeguati servizi di assistenza domiciliare. Questo squilibrio accentua le difficoltà per le famiglie, già gravate da altre responsabilità.

Un’altra sfida cruciale per il futuro dell’Italia è il gap rispetto agli standard europei di istruzione. Le famiglie faticano a sostenere il percorso educativo dei figli, con costi elevati e accesso limitato ai servizi educativi, peggiorando le disuguaglianze.

Il welfare aziendale riduce il peso economico sulle famiglie trasferendo parte della spesa alle imprese, migliorando l’accesso ai servizi e promuovendo giustizia sociale. Le aziende che offrono welfare aziendale aiutano a colmare le lacune del sistema attuale, rendendolo più efficiente ed equo. Un ruolo importante nell’erogazione di prestazioni di sostegno mirate lo svolgono le Pmi per la diffusione sul territorio e la vicinanza con le famiglie: le Pmi raggiungono infatti 11,3 milioni di famiglie con lavoratori dipendenti, il 44% delle famiglie italiane, appartenenti a tutte le fasce sociali, di cui 3,2 milioni a vulnerabilità alta o molto alta.

Il Terzo Settore come nuovo protagonista

Il Terzo Settore sta assumendo un ruolo sempre più significativo nel welfare aziendale, contribuendo sia come datore di lavoro che come fornitore di servizi, e mostrando tassi di iniziativa superiori alla media in molte aree chiave. Con 125mila organizzazioni iscritte al Registro unico degli enti del Terzo Settore (Runts), il non profit coinvolge 894mila dipendenti e quasi 4,7 milioni di volontari, rappresentando il 5% del Pil. Gli enti del Terzo Settore con un livello alto o molto alto di welfare aziendale sono il 59,3%, rispetto al 33,3% delle imprese for profit.

In quasi tutte le aree, i tassi di iniziativa del Terzo Settore superano la media delle Pmi. In particolare, eccellono nella responsabilità sociale verso consumatori e fornitori (87,2% contro 27,2%) e nella tutela dei diritti, diversità e inclusione (82,5% contro 50,4%). In particolare, eccellono nella responsabilità sociale verso consumatori e fornitori (87,2% contro 27,2%) e nella tutela dei diritti, diversità e inclusione (82,5% contro 50,4%).

Il Terzo Settore, inoltre, mostra una forte propensione alla collaborazione con altri enti. Il 66,7% collabora con enti pubblici, il 64,5% con altri enti non profit, e il 45,4% con fondazioni, mentre le collaborazioni con imprese private sono meno frequenti (38,9%). Il 22,7% degli enti del Terzo Settore forniscono servizi di welfare, principalmente direttamente alle persone (13,5%) o per conto degli enti pubblici (9,2%), mentre solo il 3,9% offrono servizi alle imprese.

Benefici del welfare aziendale

Il welfare aziendale non solo aumenta la soddisfazione dei lavoratori in un periodo in cui il mismatch tra domanda e offerta di lavoro è in crescita e le aziende faticano a trattenere i talenti, ma migliora anche le performance aziendali: fatturato, produttività e redditività. Tra il 2019 e il 2023, l’indice di redditività delle imprese con un livello molto alto di welfare è raddoppiato. Anche a livello occupazionale, nel 2023, il 26% delle Pmi ha assunto nuovi lavoratori, mentre solo l’11% l’ha ridotta. Il saldo è decisamente migliore tra le aziende a elevato livello di welfare: il 44,2% ha aumentato la forza lavoro e solo l’8,7% l’ha ridotta, con una differenza di 35,5 punti.

Dunque le imprese con un welfare evoluto non solo hanno contribuito più della media alla tenuta del Paese negli anni dell’emergenza sanitaria, ma sono ripartite più velocemente e oggi contribuiscono in misura maggiore alla crescita. La loro produttività le rende più competitive e capaci di accrescere l’occupazione.

I commenti

Il welfare aziendale include sempre più spesso fondi e polizze integrative. Secondo Giancarlo Fancel, country manager & ceo di Generali Italia, le pmi utilizzano il welfare in modo strategico, estendendo i benefici alle famiglie dei dipendenti e alla comunità. “Il tessuto imprenditoriale italiano composto dalle piccole e medie aziende assume, dunque, un ruolo sociale importante, diventando punto di riferimento sul territorio. Attraverso una partnership tra il settore pubblico e il privato che coinvolga le istituzioni, gli enti territoriali, le famiglie, le imprese e il terzo settore si può contribuire in maniera importante a rinnovare il welfare del Paese”, ha detto Fancel.

Giovanni Baroni, vicepresidente di Confindustria e presidente di Piccola Industria, ha sottolineato l’importanza della sanità integrativa, che attualmente copre quasi 16 milioni di italiani e rappresenta una componente fondamentale delle politiche di welfare aziendale. “In un Paese come il nostro, dove la spesa pubblica per la salute rimane una delle più basse d’Europa, circa il 6,5% del Pil, quanto le imprese possono fare a supporto della tutela sanitaria di lavoratori e familiari è straordinario”, ha concluso Baroni.

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