Ha suscitato scalpore ieri Berlusconi quando ha detto ad un attonito presidente Van Rompuy che l’Italia e probabilmente anche molti altri paesi europei avrebbero gradito che l’Unione europea li obbligasse a fare una profonda riforma delle pensioni così da renderle compatibili con l’allungamento della vita e quindi alleviando il peso finanziario che ricade sulle finanze pubbliche ed in ultima analisi sulle giovani generazioni che devono sacrificarsi per pagare le pensioni dei loro nonni e dei loro padri.
Molti si sono scandalizzati perchè Berlusconi ha candidamente ammesso che il suo Governo non è in grado di fare da solo quello che deve essere fatto (la riforma delle pensioni, ma anche la vendita del patrimonio pubblico e la riduzione dei costi della politica) perchè in questo modo i partiti della maggioranza perderebbero consenso elettorale. E quindi per convincere i cittadini ed ancor più i riottosi membri dei vari clan della politica, occorre un ” vincolo esterno”.
Al di là dei modi, un po’ rozzi ed un po’ ingenui, adottati da Berlusconi, bisogna riconoscere che se l’Italia è riuscita a diventare una delle principali potenze industriali del mondo in questo secondo dopoguerra, ciò è dovuto non certo alla lungimiranza della sua classe dirigente, ma all’agire di vincoli esterni che un ristretto numero di uomini coraggiosi hanno costruito per far passare prassi e regole che l’Italia nel suo complesso non era in grado di adottare da sola. E’ Guido Carli, già Governatore della Banca d’Italia, presidente della Confindustria,e ministro del Tesoro, che lo spiega nel bel libro in cui con la collaborazione di Paolo Peluffo, ripercorre cinquant’anni di vita italiana. “Il vincolo esterno ci ha salvato tre volte.
La prima con l’adesione al sistema monetario internazionale nato a Bretton Woods e con la partecipazione alla Comunità europea. “I partiti politici, le burocrazie dello Stato, gli stessi industriali – ricorda Carli – fecero di tutto per impedire la liberalizzazione commerciale prima e la nascita del mercato comune dopo. Ma questa scelta prevalse perchè fu decisa da da un gruppo ristrettissimo di persone, in primo luogo il presidente del Consiglio De Gasperi confortato da pochissimi uomini tra cui Luigi Einaudi ed Angelo Costa.” Il secondo vincolo esterno fu la nascita del sistema monetario europeo, che avvenne in un momento di gravissima crisi inflazionistica e di terribili sommovimenti sociali. Il terzo fu la firma del trattato di Maastricht e quindi la nascita dell’Euro. Oggi abbiamo bisogno di un nuovo vincolo ancora più stringente di quelli del passato perchè nonostante l’esistenza di una moneta unica che già di per sè limita la possibilità di manovrare il cambio ed i tassi d’interesse, alcuni paesi, tra i quali il nostro, preferiscono “galleggiare declinando” come dice il prof. Tantazzi, che affrontare i problemi della scarsa competitività del sistema.
Paradossalmente con la nascita dell’Euro certi vincoli di bilancia dei pagamenti e certe precise prescrizioni da parte delle autorità comunitarie si sono attenuati. Non essendoci una politica fiscale comune, ogni paese ha potuto per lungo tempo occultare le proprie debolezze e si è trovato così completamente impreparato ad affrontare la crisi. Per l’Italia, in particolare, la perdita di competitività e la scarsa crescita erano stati denunciati per tempo da tutti i centri di ricerca economica, ma il Governo li ha sempre ignorati. Le liberalizzazioni non si sono fatte per non dar fastidio alle varie corporazioni, le privatizzazioni sono ostacolate dal ceto politico nazionale e locale, perchè sulle aziende pubbliche si esercita il vero potere clientelare. Le pensioni non sono state definivamente riformate per non scontrarsi con i sindacati. E così via.
Ora che i risparmiatori non sono più tanto disposti a sottoscrivere i titoli del nostro debito pubblico, dobbiamo fare quelle riforme che per lungo tempo abbiamo evitato. E Berlusconi invoca l’aiuto dell’Europa. Ma si tratta di prescrizioni che l’Europa ha già formulato e non bisogna dimenticare che le scelte decisive dipendono sempre dal coraggio e dalla lungimiranza di un ristretto numero di persone, in primo luogo dall’ambizione di voler passare alla storia con decisioni capaci di segnare una rinascita del paese, da parte del Presidente del Consiglio che non può sottrarsi al peso e alla solitudine che l’esercizio del potere comporta nei momenti cruciali.