La crisi in Venezuela fa temere scenari di guerra. Da un lato si notano i movimenti di truppe brasiliane e colombiane a difesa dei confini e per rispondere alle provocazioni di Maduro, dall’altro il dittatore venezuelano con le sue manovre militari fa ridestare preoccupazioni crescenti su una possibile escalation di un conflitto civile in Venezuela. Dopo l’autoproclamazione di Guaidò, il capo dell’Assemblea Nazionale, e l’appello alle forze armate ed ai corpi diplomatici di schierarsi contro Maduro, finalmente si intravede una svolta per un Paese allo stremo ed in pieno collasso economico.
E nonostante l’irrigidimento delle sanzioni USA attuate nell’estate del 2017, seguite alla Dichiarazione di Lima dell’8 Agosto, con lo scopo di punire le azioni antidemocratiche perpetrate contro i media e le opposizioni nell’intento di mantenere il potere e modificare ulteriormente la Costituzione a proprio favore, e’ stato chiaro già dalle elezioni locali del 2017 e sino all’anticipo delle presidenziali dello scorso Maggio che la crisi presidenziale venezuelana sarebbe sfociata in un movimento di massa per le perduranti critiche di brogli e irregolarità su una affluenza minima e costantemente minacciata.
L’unica speranza per il capo del Parlamento e’ quella di convincere il potere giudiziario e l’esercito che l’amnistia promessa e’ la via per evitare la guerra civile e che si possano svolgere nuove elezioni monitorate da osservatori internazionali per garantire un futuro ai venezuelani. Guaidò ha assunto la carica invocando la Costituzione, che in effetti offre la facoltà al Presidente del Parlamento di assumere la presidenza del Paese nel caso si raffiguri un’evidente illegittimità che Guaidò giustifica con la palese irregolarità dell’esito delle ultime elezioni. Non si puo’ infatti non considerare la repressione violenta sulle opposizioni. Nell’insediamento del 10 Gennaio i Paesi amici Russia, Cina e Turchia non hanno presenziato alla cerimonia, preoccupati dall’instabilità evidente del Paese ed anche dai propri crediti “in sofferenza”.
Si perché la colonna sulla quale il potere venezuelano si e’ appoggiato negli ultimi dieci anni e’ il sostegno finanziario cinese con oltre 60 miliardi di dollari Usa in cambio di petrolio, di partecipazioni strategiche come quella in Sinovensa, nonché l’opportunità di applicare i nuovi sistemi di controllo sociale digitale grazie alla cinese ZTE, già multata dagli Usa per un miliardo di dollari Usa e con sanzioni antispionaggio delle reti cellulari.
I venezuelani, dopo aver disertato le urne ed essere entrati nel quinto anno di crisi economica, sono attoniti e afflitti dalla carenza di beni primari: cibo, medicinali, acqua ed ora anche elettricità e da un’inflazione che ormai non si puo’ più neanche nominare ma che il FMI fissa a 10 milioni per cento! Un’inflazione che distrugge i già bassi salari minando la sopravvivenza delle famiglie.La distribuzione a prezzi calmierati del cibo nei quartieri disagiati non placa gli animi dove il chavismo e’ sempre stato la seconda religione ma dove ormai pare evidente a tutti che l’incapacità a gestire riforme ed economia del Paese ha contraddistinto un Presidente inetto e irresponsabile che ha svenduto le risorse energetiche perdendo il senso della sostenibilità economica del Venezuella.
Dopo la dichiarazione della Fed della scorsa settimana con un azzeramento di fatto delle prospettive di nuovi aumenti sui tassi di interesse, i mercati emergenti hanno tirato un sospiro di sollievo dopo aver sofferto la fase rialzista dei tassi Usa, messa ora nel congelatore da Powell, e guardano avanti dopo un mese di Gennaio che li vede guidare la classifica delle migliori performance di mercato da inizio anno e toccare livelli che non si vedevano dal 2015 superando il 7% sull’indice MSCI Emerging Markets.
E sono le valute emergenti – in particolare il rublo russo (+8%), il peso messicano (+10%), il real brasiliano (+10%), e la lira turca (+25%) – a trascinare una nuova ondata di investimenti e di flussi che si concentrano soprattutto sui titoli governativi in valuta locale e sulle obbligazioni in divisa forte anche attraverso gli ETF. Tra gli elementi da tenere sotto osservazione ovviamente le prossime puntate della guerra commerciale Usa-Cina in vista della scadenza di Marzo oltre alla questione venezuelana per il comparto Latam.
E, mentre la Cina mantiene fede alla sua politica di non ingerenza nelle questioni di politica estera, la posizione italiana sul “golpe” venezuelano risulta allineata con quella turca ed in opposizione alla
maggior parte degli altri paesi europei e appare inspiegabile per chi ha seguito il declino economico del Venezuela in questi ultimi due anni, che e’ stato favorito dall’inasprimento della politica di Maduro e da un definitivo fallimento di quella rivoluzione bolivariana che venti anni fa Chavez impose al Paese e che ormai pare essere “fuori tempo massimo” per la storia e per la realtà del disastro economico e finanziario che ha causato ad uno dei Paesi con maggiori risorse petrolifere al mondo.
Sullo stesso argomento leggi anche “Mattarella incalza il governo“.