A San Mauro di Saline, in provincia di Verona, 572 abitanti sparsi tra la Val di Mezza a la Val d’Illasi, la coalizione di Luca Zaia ha raggiunto il 93,12 per cento dei consensi. Percentuali di questo genere si possono scorrere vedendo i risultati di tanti altri comuni nel trevigiano, nel vicentino e appunto nel veronese per un totale di voti che porta il “doge” Luca Zaia al 77 per cento complessivo in Veneto. «I numeri parlano chiaro ma bisogna leggerli nel giusto contesto. Sono elezioni fatte in uno stato di “eccezione” e in un periodo unico della storia politica recente. Alcuni studiosi vedono le elezioni come l’ultimo grande rito collettivo delle nostre società occidentali. Così è stato in queste Regionali, un grande rito di ringraziamento per il “miracolo” del pericolo sanitario scampato. Sperando che la pandemia non torni…». Analizza il voto cercando di normalizzare un risultato elettorale di tipo quasi plebiscitario Paolo Feltrin, politologo dell’Università di Trieste e uno dei massimi conoscitori dei flussi elettorali in Veneto.
L’affermazione solitaria di Luca Zaia però ha assunto contorni che vanno oltre la dimensione dell’appartenenza politica o della fiducia in un amministratore.
«È un voto di comunità, non solo della parte maggioritaria dell’elettorato veneto. Abbiamo assistito a un grande rito, a una sorta di festa, una volta avrebbero eretto una Basilica della Salute dopo la pandemia, qualche miriade di capitelli. Oggi il popolo ha ringraziato i capi delle diverse amministrazioni che hanno gestito l’emergenza sanitaria. È un voto che ha le stesse caratteristiche dalle Alpi al Mezzogiorno, vale per Zaia così come per De Luca in Campania. Tutti i presidenti uscenti sono stati rieletti, non ho mai dubitato per esempio che in Puglia non venisse rieletto Emiliano».
Quindi il Covid ha avuto un ruolo determinante per queste percentuali di consenso?
«Il governatore Zaia ha interpretato al meglio il ruolo del capitano al comando della nave che rischia di affondare. Lo stesso referendum va interpretato in questo modo: un grande atto di ringraziamento verso il governo nazionale, perché in caso di vittoria del “No” questo esecutivo avrebbe fatto le valigie».
Parliamo di affluenza: il 61,2 per cento è giudicato da molti osservatori più che positivo. Qual è la comparazione che meglio può sintetizzare questo dato?
«La partecipazione è stata molto alta: ha votato il 5 per cento in più rispetto al 2015, c’è inoltre una percentuale che va dal 7 al 9 per cento di veneti all’estero e una fascia di ultra-anziani molto larga. Gli elettori non hanno rinunciato, nonostante anche dei timori legati alla circolazione del virus, a dimostrare fiducia nelle istituzioni. In questi mesi è cambiata persino la percezione degli italiani sull’Unione Europea: il 75 per cento della popolazione ha un giudizio positivo sulle istituzioni comunitarie, stando alle ultime rilevazioni dell’Eurobarometro».
La coalizione di centrosinistra guidata dal professor Arturo Lorenzoni, vicesindaco di Padova, ha raccolto il consenso del 15 per cento dei veneti. Effetto Covid?
«La crisi del centrosinistra in Veneto ha radici profonde e radicate nel tempo. Ma è evidente che dalle crisi, dalle elezioni disastrose, si può solo che risalire: guardiamo ai tonfi della Lega nel recente passato e guardiamo al consenso che oggi ha nel Paese».
Il governatore Luca Zaia ha elencato i risultati che hanno portato al suo successo: le Olimpiadi invernali, le colline del Prosecco patrimonio dell’umanità, la Pedemontana come l’opera più grande attualmente in corso del Paese. Sullo sfondo però rimane la sensazione che, gestione dell’emergenza sanitaria a parte, i veneti vedano in Luca Zaia l’uomo che può portare all’autonomia.
«Sono abbastanza scettico su questo aspetto. L’autonomia ormai è una parola dai tratti mistici, con orizzonti un po’ indefiniti, una terra promessa, un sol dell’avvenire che non si sa bene a cosa dovrebbe portare. Guardiamo alla gestione di questa epocale crisi sanitaria: è stato forse il più valido esempio di collaborazione e cooperazione tra Stato centrale e amministrazioni locali nella storia della Repubblica, al netto delle immancabili polemiche funzionali a questa o quella parte».
Commentando i risultati elettorali, Luca Zaia citando don Lugi Sturzo ha detto “sono unitario, ma federalista”. Negli anni Settanta-Ottanta in Veneto il partito di maggioranza, ovvero la Dc guidata dal capo doroteo Antonio Bisaglia, teorizzava la nascita di un partito regionale collegato ma autonomo dalla Dc nazionale, sul modello bavarese della Csu. Che analogie si possono trovare su questo versante, mutate tutte le condizioni storico-politiche immaginabili?
«Ci sono delle analogie, anche in termini di consenso. Attenzione però: i risultati non sono ancora comparabili, se non altro perché la Dc ha raggiunto queste percentuali per quasi 40 anni. Aspettiamo almeno altri 20 anni, tra l’altro la Lega ha già conosciuto tre grandi crisi di consenso recenti, nel 2001, 2006 e 2008. Teniamo presente inoltre che per Statuto Luca Zaia non potrà più ricandidarsi. E quindi: fuori da questo tempo eccezionale e pensando di fare a meno di Zaia, la Lega saprà riproporre questi risultati? I cicli politici sono sempre più corti: nel 2018 il M5S in Veneto arrivò quasi al 30 per cento in alcune aree, oggi non è in grado nemmeno di superare lo sbarramento al 3 per cento per l’ingresso in Consiglio regionale. Le dinamiche politiche attuali vanno maneggiate con estrema cautela».
Resta il fatto che quasi un milione di veneti ha votato Luca Zaia, il quarto partito d’Italia in queste elezioni regionali. Ci sarà un progetto più ampio di riconfigurare un centrodestra diverso con Luca Zaia tra i leader in campo?
«Difficile dirlo, sicuramente in Veneto non ha più nulla da dimostrare dal punto di vista della forza politica. Un ragionamento sul piano nazionale è ancora prematuro: la Lega ha un leader saldamente in sella al partito e inoltre Matteo Salvini controlla tutto il gruppo dirigente lombardo. È lo stesso Zaia che saggiamente lo dice, è ancora prematuro guardare fuori dal Veneto. Guai a candidarsi Papa, la regola aurea in questi casi è rimanere sottotraccia».
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nessuno dice che c'è una enorme differenza tra voto delle zone rurali e vote dei centri della grandi città questo la dice lunga. Si racconta un veneto che non esiste
Analisi interessante. Complimenti.