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Il Trump rally è finito? Meglio riorientare il portafoglio

ImagoEconomica

Chi ha un minimo di esperienza di montagna sa che quando si esce la mattina per un’escursione è bene portarsi dietro la giacca a vento anche se il cielo è terso e fa caldo. Sopra certe altezze infatti le condizioni del tempo possono cambiare radicalmente all’improvviso, con vento, pioggia, nebbia e freddo che prendono in pochi minuti il posto del sole. Alle altezze elevate in cui si trovano i mercati azionari, in particolare in America, le variazioni di umore possono essere altrettanto veloci e le correzioni possono essere profonde.

Il Trump rally ha avuto e ha alcune premesse di base. La prima è che Trump resti presidente. La seconda è che riesca a realizzare le riforme promesse, in particolare la deregulation e l’abbassamento delle imposte sulle imprese. Fino a una settimana fa il mercato, al contrario dei media e di una parte degli opinionisti, non ha manifestato dubbi né sulla prima né sulla seconda premessa. Il Trump rally è stato corroso ai margini e abbiamo così visto il ridimensionamento del dollaro e l’ottima tenuta dei Treasuries lunghi nonostante il rialzo dei tassi anticipato a marzo.

Il nocciolo duro del Trump trade, il rialzo della borsa, ha però resistito, sempre fino a una settimana fa, a ogni tipo di attacco e si è mostrato inossidabile. Poi, nel giro di pochi giorni, Trump è apparso indebolito su vari fronti. È sembrato incapace di rispondere adeguatamente al poderoso attacco democratico (Russiagate e ostruzionismo senza precedenti sulle nomine) che mira in prospettiva al bersaglio grosso dell’impeachment. È sembrato un tattico poco accorto nell’avere dato priorità nei tempi alla riforma sanitaria, che interessa molto all’opinione pubblica ma poco ai mercati, per i quali è solo un pericoloso contrattempo che sposta in avanti i tempi dell’abbassamento delle tasse. E infine è sembrato incapace di compiere il miracolo di tenere unito il suo stesso partito e di fargli digerire la riforma sanitaria.

E così una borsa che sembrava appagata, tranquilla e fiduciosa ha pagato la tenuta ancora accettabile dell’indice (siamo solo del 2 per cento sotto i massimi e ancora del 5 per cento sopra il livello di inizio anno e del 12 per cento sopra i minimi della notte delle elezioni) con una violenta rotazione interna, che ha visto banche e ciclici perdere il 10 per cento dai massimi e i difensivi recuperare buona parte del terreno che avevano perduto da novembre.

Il reverse Trump rally, lo sgonfiamento di tutto quello che è successo da novembre a oggi e il ritorno ai valori di mercato di ottobre, se non peggio, è quindi probabilmente vicino alla sua conclusione. La mancata approvazione della riforma sanitaria provocherà ancora qualche giorno di malumore, ma mitigato dalla certezza che già dalla settimana prossima il Congresso lavorerà sul fisco.

La vicenda lascerà comunque in eredità una lezione importante per i mercati e cioè che i tempi della realtà sono molto più lenti di quelli della fantasia. Da novembre a febbraio il mondo ha scontato la piena attuazione del programma di Trump senza troppo curarsi del fatto che la realizzazione concreta richiederà ancora un anno. Un anno è lungo da passare e fa in tempo a logorare nell’attesa gli ottimisti e a incoraggiare i pessimisti. La buona notizia, quindi, è che i mercati reggeranno.

Quella meno buona è che i tempi per la realizzazione delle riforme saranno lunghi e che per nuovi rialzi l’asticella da superare sarà alta. Occorreranno una riforma fiscale non troppo annacquata, una buona performance dell’economia (che al momento in America non è brillante), utili in crescita non solo per le minori tasse da pagare e una Fed che alzi i tassi ordinatamente e senza esagerare. È tempo di riorientare la strategia di portafoglio. Dalla guerra di movimento stiamo per passare alla guerra di posizione. Questo non significa affatto che le occasioni siano tutte alle spalle. Una borsa americana laterale permetterà comunque al resto del mondo di ridurre il gap di valutazione e di recuperare terreno

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