Le riserve di petrolio e di prodotti raffinati sono aumentate ma, differentemente dal passato e particolarmente degli ultimi tre anni, ciò non si è tradotto in un’ ulteriore pressione sui prezzi del greggio. Infatti l’eccesso di riserve in questo momento sta coprendo l’aumento della domanda e soprattutto i cali produttivi di Paesi con una grave situazione politico economica da affrontare come Venezuela, Libia e Nigeria. Per non parlare dell’immane tragedia ambientale derivante dall’incendio in Canada nella Provincia di Alberta che, ad inizio del mese di maggio, ha visto il Paese tagliare drasticamente la produzione. In questi giorni il Canada ha ripreso le estrazioni permettendo un consolidamento del prezzo WTI sui 48 $ dopo un recupero dell’80% dai minimi degli ultimi 12 anni toccati quest’anno.
Vi sono poi altri eventi, come la sostituzione del Ministro del Petrolio saudita Alì al Naimi con il Presidente di Aramco Khalid al-Falih, che hanno favorito il rientro a quota 50 dollari Usa. Un’epoca che si chiude con questa sostituzione avvenuta in un giro di poltrone governative “per decreto reale” dopo oltre vent’anni di superpoteri che abbracciavano un’ampia influenza dal petrolio all’industria, sino a il controllo delle attività minerarie. Il Principe Mohammed rafforza così il suo potere a un mese dal Meeting OPEC di Giugno e dopo le polemiche seguite al meeting di Doha a metà Aprile, ed al contempo rilancia sulle riforme con ambizioso piano detto “Vision 2030”.
Questa situazione, sullo sfondo di un G7 povero di spunti, tranne qualche rassicurazione in più sul nuovo braccio di ferro tra USA e Giappone per le note questioni valutarie, ha riportato l’attenzione sulla Russia anche perché i BRICS stanno vivendo un momento di difficoltà come il resto dei Paesi emergenti. E solo alcuni Paesi asiatici e dell’Est Europa stanno resistendo alla fuga di capitali dai fondi emergenti soprattutto su azionario e divise locali.
Le corporates russe, nonostante l’andamento ancora poco convincente delle commodities , vedi il trend ribassista di acciaio e rame rispetto al rimbalzo delle commodities agricole, hanno rafforzato le quotazioni tanto che adesso i titoli sovrani sono diventati più allettanti ed a buon mercato. Intanto le banche stanno proseguendo in operazioni di buy back mirate ad una stabilizzazione patrimoniale. Per non parlare del mercato azionario che offre un premio al rischio del 14,5% rispetto a quello espresso nei rendimenti dei titoli governativi europei.
Gli ultimi dati macro hanno visto in Aprile un miglioramento della produzione industriale russa con un +0,5% rispetto ad attese in negativo allo -0,5%. D’altronde, il dato del PIL del primo trimestre a -1,2% rispetto al -2% previsto già faceva vedere chiaramente come anche le vendite al dettaglio avessero un ruolo importante nel contenimento del dato recessivo. Ed il risultato della recente missione del Fondo Monetario Internazionale aumenta le aspettative di un recupero ulteriore dell’economia russa che uscirà dalla recessione nel 2017 ed evidenzia una diretta correlazione con il prezzo del greggio che è alla base dei flussi di capitale degli ultimi mesi.
Certamente non si nasconde come le sanzioni abbiano giocato un ruolo fondamentale nella crisi economica russa che ha costretto il Governo a prendere misure di difesa ed a cambiare il piano strategico economico supportato anche da un cuscinetto di riserve internazionali che resta cospicuo contando per più di 320 mld di dollari usa.
Dopo due anni di incertezze geopolitiche, ora la Russia si appresta a tornare sul mercato eurobonds in divisa forte dove sino a Febbraio del 2014 si contavano oltre 220 mld di dollari Usa di emissioni obbligazionarie ed oggi si son ridotte a meno di 180 mld di dollari Usa. E nei prossimi 2 anni il 38% del rimanente andrà in scadenza mentre le banche russe attualmente sono posizionate sulle scadenze brevi e medie per meno di un terzo del debito estero circolante.
Se le scommesse sul petrolio stanno riportando interesse e flussi di portafoglio sulle emissioni in rubli russi, è indubbio che uno sblocco o riduzione delle sanzioni da parte europea e Usa ridarebbe fiato al mercato obbligazionario russo in usd ed euro soddisfacendo una richiesta crescente di diversificazione in tal senso. Ma dietro una decisione del genere, come sappiamo, si giocano equilibri geopolitici nei quali ha una parte rilevante la campagna elettorale americana e la strategia folle che negli ultimi due anni e’ stata agita da Obama a spese non solo dei russi ma soprattutto degli europei.
Il rublo, tra le migliori divise dell’anno, e’ rimbalzato del 25% dai minimi di Gennaio e nell’ultima settimana ha perso il 2% e se il prezzo si manterrà sotto i 70 contro dollari Usa inevitabilmente la banca centrale russa si asterrà dal tagliare i tassi il prossimo 10 Giugno, nonostante un’inflazione sopra il target del 7%. Il rischio di default e’ a sua volta calato con i CDS a 5 anni scesi da 400 a 250 bp, con un rating ancora di grado speculativo.
Superando questo mese di Maggio di realizzi, con il meeting dell’OPEC di Giugno ci si giocherà un ulteriore rimbalzo o meno del rublo in un’ottica speculativa sull’andamento del prezzo del petrolio e del recupero della congiuntura russa.
Ora la Russia ha rotto la tregua militare del 27 Febbraio ed ha ripreso anche i bombardamenti in Siria chiedendo interventi coordinati con la coalizione internazionale guidata dagli americani. E sta cominciando così una manovra di avvicinamento politico sul campo militare. Con ciò che sta accadendo in Turchia, in questo momento la Russia rappresenta un’opportunità da valutare con attenzione, e forse l’unica stella brillante dell’universo BRICS che quest’anno delude e preoccupa fondi e investitori costretti a contromosse repentine per contenere le variabili politiche “impazzite”.