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Il tram ma anche la bici: ecco “il simbolo della città del futuro” secondo Pelizzaro del Comune di Milano

INTERVISTA A PIERO PELIZZARO, direttore della resilienza del Comune di Milano, intervenuto allo Smart City Expo di Curitiba, in Brasile: “In America Latina si parla da tempo di smart city, ma è decisivo rendere la tecnologia inclusiva”. “Milano già collabora con San Paolo su un programma Ue”

Il tram ma anche la bici: ecco “il simbolo della città del futuro” secondo Pelizzaro del Comune di Milano

Uno si immagina droni, automobili guidate da algoritmi, pannelli solari di ultima generazione. Invece l’oggetto simbolo delle città del domani, le cosiddette smart city, potrebbe essere nientemeno che il vecchio tram a rotaie. A sostenerlo è il direttore della resilienza del Comune di Milano, Piero Pelizzaro, intervenuto a Curitiba, in Brasile, in occasione di Smart City Expo, il maggior evento del settore in America Latina: “Il futuro delle città deve essere secondo me esclusivamente pedonale, ciclabile e del trasporto pubblico. Quindi tram, ma anche bici”.

Dalla manifestazione brasiliana è tra l’altro venuto fuori che il Sudamerica è assolutamente allineato nello sviluppo delle città intelligenti e già non mancano le sinergie con l’Europa, compreso il gemellaggio tra Milano e San Paolo “nell’ambito del programma IURC della commissione europea, che promuove la cooperazione internazionale per la progettazione di centri urbani sostenibili e innovativi. Milano ha collaborato in questi anni anche con Buenos Aires e Città del Messico”. Ne abbiamo parlato, in questa intervista rilasciata a FIRSTonline, proprio con Pelizzaro.

Piero Pelizzaro
Imagoeconomica

Direttore, in Europa si parla di smart cities da anni, ma la sua presenza in Brasile lascia pensare che anche il Sudamerica si stia organizzando. Quali spunti e quali potenzialità ha colto in questa missione?

“In America Latina si parla di smart cities già da qualche anno, ci sono già ottime esperienze, ad esempio, a Città del Messico, a San Paolo, o anche nella stessa Curitiba dove ci troviamo e dove è nato il trasporto rapido di massa, poi esportato in Europa. L’America Latina sta accelerando sull’innovazione tecnologica, l’importante però è rendere inclusiva la tecnologia: ricordiamoci sempre che le tecnologie bisogna saperle utilizzare, altrimenti si corre il rischio che diventino esclusive, per pochi”.

Probabilmente la prima smart city brasiliana a tutti gli effetti sarà Rio de Janeiro, anche grazie ad un accordo con tre aziende italiane (Tim, Enel e Leonardo). Pensa che l’Italia possa avere un ruolo anche a livello istituzionale, magari esportando il modello Milano?

“Non mi piace parlare di ‘modello Milano’, direi piuttosto che esiste un modo di fare che abbiamo. Milano non ha mai avuto uno specifico piano per la smart city, ma ha creato un quadro normativo che abilitasse l’innovazione e il cambiamento degli stili di vita. Siamo stati i primi ad esempio, insieme a Londra, a introdurre il pagamento contactless nella metropolitana, così come abbiamo fatto un gran lavoro sull’integrazione tra smart city e sharing economy, che si è rivelata utile durante la pandemia. Sì, possiamo dare un contributo anche qui, già lo stiamo facendo collaborando con San Paolo nell’ambito del programma IURC della commissione europea, uno scambio di knowledge incentrato sulle strategie di rinnovamento urbano sostenibile e di valorizzazione del patrimonio artistico, storico e degli spazi pubblici. In passato abbiamo lavorato con Città del Messico e Buenos Aires, ci saremmo volentieri anche su Rio”.

Collaborando con queste città così lontane, si è fatto un’idea su un punto di forza che Milano potrebbe esportare e su un eventuale nostro punto debole da migliorare prendendo spunto da queste realtà?

“Il punto debole di Milano forse è il quadro normativo nazionale, che non facilita la messa a disposizione delle piccole startup di spazi pubblici dove testare le tecnologie. Dovremmo creare delle isole digitali nelle città dove questi test siano possibili, rispettando dei parametri. Su questo in Sudamerica si notano invece esperienze virtuose. Il punto di forza nostro è quello di aver fatto, a livello locale, norme abilitanti per le nuove tecnologie”.

Lei è Direttore della resilienza del Comune di Milano: da dove ha origine questo inusuale incarico?

“L’incarico deriva da un programma internazionale per la resilienza di 100 città in tutto il mondo, comprese Milano, Roma e di nuovo alcune città sudamericane, finanziato dalla Rockefeller Foundation dopo l’uragano Sandy negli Usa, nel 2012”.

E perché si parla sempre più spesso di “città intelligenti e resilienti”?

“Dico sempre che in una smart city l’intelligenza è il software e la resilienza l’hardware. La resilienza è come prepariamo il futuro delle infrastrutture, anche digitali, per gestire al meglio l’impatto dei cambiamenti climatici e degli choc sistemici, ad esempio gli attacchi cibernetici. Se noi sblocchiamo le tecnologie ma poi queste tecnologie vanno in crisi di fronte per esempio ad una ondata di calore, significa che abbiamo fatto solo un pezzo della smart city, e che manca proprio la parte della resilienza. A maggior ragione se si tiene conto del fatto che le infrastrutture digitali sono sempre più interconnesse tra loro, e che la loro vulnerabilità può perciò generare problemi a cascata”.

Ma proviamo ad immaginarla questa città del futuro: quale sarà l’oggetto che meglio la rappresenta? Droni, auto senza conducente o altro?

“Io direi il tram a rotaie, ma anche le bici, comprese chiaramente quelle a pedalata assistita. Credo che il futuro delle città debba essere esclusivamente pedonale, ciclabile e del trasporto pubblico, per permettere a tutti di vivere in un ambiente più salutare ed essere meno esposti al rischio di malattie respiratorie”. 

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