Contador sì, Contador no? Il favorito della vigilia a metà Tour, dopo le prime due deludenti tappe pirenaiche, è un rebus più che una certezza. Un po’ come la sua Spagna che dopo il boom è finita nel tritacarne del debito e dei dubbi sulla sua capacità di onorarlo. A Luz Ardiden, al primo grande arrivo in salita, a un passo dalla frontiera di casa, lo spagnolo è stato addirittura staccato, anche se di poco. A Plateau de Beille oggi un’altra ascesa incolore. Contador era già in ritardo sui fratelli Schleck e Cadel Evans per le cadute nelle tappe d’avvio. Ci si aspettava un primo segno di reazione. Niente di niente. Meglio di lui hanno fatto anche Basso e la sorprendente maglia gialla Thomas Vockler. Il Matador soffre per il ginocchio ammaccato e anche per la freddezza con cui i francesi lo hanno accolto sulle strade del Tour, con la maggioranza del pubblico che non crede alla sua innocenza nella vicenda del clenbuterolo trovato nelle sue urine durante la Grande Boucle vinta l’anno scorso. Un caso di doping che verrà chiarito solo a Tour finito ma che potrebbe costargli la maglia gialla 2010 che a tavolino passerebbe ad Andy Schleck, secondo classificato. E’ un fatto che il Contador del Tour in atto è un ciclista che non sprigiona la forza messa in mostra al Giro d’Italia: dai 405 watt di potenza raggiunti nella scalata del Grossglockner, traguardo della tappa che sconfinava in Austria, si è passati ai 342 watt sui 10 chilometri che portano a Luz Ardiden. Un calo di potenza secco che per Contador, mutuando ancora un paragone preso a prestito dalla grande finanza, fa cambiare in negativo l’outlook sul suo prosieguo al Tour. Gli addetti ai lavori, dopo averlo esaltato, stanno cambiando registro. I tifosi di Contador sperano che si sbaglino, come del resto è accaduto alle agenzie di rating che hanno preso clamorosi abbagli dal caso Argentina a quelli Lehman Brothers e Parmalat. Oggi Moody’s e Standard & Poor’s stanno flagellando, giudici ultimi e inappellabili, l’Eurozona come se non bastassero i rapporti e i moniti quasi quotidiani su debito e crescita di istituzioni assolutamente più credibili come Fmi, Ocse, Commissione europea e altre ancora. Tutti sanno che ogni italiano nasce con 30mila euro di debiti sulle spalle. Ma se ce lo dice il signor Alexander Kockerbeck (ma quanti da noi conoscono l’analista di Moody’s per l’Italia?) siamo all’improvviso sull’orlo del baratro con la Borsa che va in tilt. Anche per Contador ci sono tanti Kockerbeck che minacciano un imminente downgrading anche se la sentenza finale verrà data solo dopo l’Alpe d’Huez e Galibier. Certo vederlo scalare il mitico Tourmalet pedalando da cicloturista senza un scatto non è esaltante. Ne patisce anche il ciclismo che vive di imprese e di battaglie. Senza nulla togliere all’impresa del Thor Hushvod, primo a Lourdes dopo la picchiata dall’Aubisque, il pathos delle montagne (russe) questa settimana l’ha offerto, più del Tour, Piazza Affari con l’indice precipitato agli inferi per poi risalire a manovra approvata e quindi ridiscendere con lo spread tra Btp e Bund di nuovo balzato nell’ultima seduta di ieri sopra quota 300 punti base. “Siamo tutti sul Titanic”, ha ammonito Tremonti in vena di frasi che lascino il segno. Eppure l’euro, se perde con il franco svizzero, continua a veleggiare sopra quota 1,40 rispetto al dollaro. Anche l’America di Obama e di Lance Armstrong non sta poi tanto bene a deficit. E’ vero ma nell’anno dell’esordio, il 2002, per mesi la moneta unica valeva appena 0,85 dollari. Perché allora nessuno ci avvertì che eravamo già su un moscone?