Vacillano stamane le Borse, investite dall’improvvisa ondata di vendite, a partire dal Nasdaq. Ma la doccia fredda dell’aumento dei sussidi al lavoro negli Usa così come la frenata di petrolio ed altre materie prime hanno fatto giustizia dei facili ottimismi sulla ripresa del mercato azionario. E così ai gestori non restano che due approdi sicuri: il reddito fisso, destinato ad offrire rendimenti sempre più miseri. E l’oro, lo scudo contro le intemperie finanziarie che non tradisce nemmeno in questa occasione.
Stamane la quotazione del metallo giallo, favorita anche dalle pressioni sulla moneta Usa, è arrivato a quota 1.894 dollari sull’onda del quinto rialzo di seguito in prossimità di nuovi massimi da nove anni. Un rialzo, pari al 20% circa da inizio anni, che segue abbastanza fedelmente l’andamento del Covid -19 ma che, fa notare James Streel di Hsbc, uno dei massimi dealer mondiali del metalli gialli “è cominciato prima della pandemia e promette, visti i volumi, di durare”.
Nel mese di giugno negli Etf specializzato in oro sono affluiti 5,6 miliardi di nuovi capitali, equivalenti a 104 tonnellate in lingotti, che hanno portato il totale a 3.621 tonnellate per un valore superiore ai 200 miliardi dollari secondo il World Gold Council. Il quadro statistico si completa con l’aumento delle scorte nei primi sei mesi a 734 tonnellate, nonostante la crisi dei consumi da parte della gioielleria, giunta al quinto anno di flessione.
Numeri che potrebbero esser sommersi dall’onda di questi giorni, secondo Carsten Menke di Julius Baer: “Proseguirà la corsa al rialzo finché il virus non sarà messo sotto controllo. Ma il Covid-19 non è la sola ragione di rialzo: fra gli altri motivi che dirottano gli investimenti verso il metallo prezioso, i tassi di interesse sotto zero e, in prospettiva, il possibile rischio inflazione a fronte delle massicce iniezioni di liquidità”.
Saranno questi i driver che possono spiegare le quotazioni oltre il livello storico di 1.900 dollari ormai ad un passo, anche se mister Steel non esclude che, finita l’euforia il metallo giallo possa tornare indietro attorno ai 1,700 dollari.
“Ma noi siamo ottimisti – ribatte George Cheveley di Ninety One – perché i prezzi stanno ricevendo adeguato sostegno grazie all’enorme quantitative easing, sia monetario sia fiscale, messo in campo dai governi e che destinato a proseguire nei prossimi due anni”. Per più ragioni. A partire dalla politica delle grandi aziende del settore, tipo Barrick e Newmont, ormai concentrate sulla generazione di margini e di flussi di cassa piuttosto che solo sull’aumento dei volumi, qualunque sia il costo.
I titoli auriferi offrono inoltre anche una bassa correlazione con i mercati e quindi sono un ottimo modo per diversificare il portafoglio. In questo senso è importante adottare un’ottica di lungo periodo. Le azioni sono più volatili rispetto all’oro ma, quando i prezzi della commodity aumentano, tendono a mostrare una maggiore leva finanziaria. Ciò porta una certa volatilità, ma a lungo termine a generare rendimenti molto interessanti.
Insomma, al di là della “moda”o della paura provocata dalla crisi, il settore sembra in condizione di assolvere al suo ruolo di guardiano stabile del portafoglio. Ma, a ruota del metallo giallo, si sta muovendo in ritardo anche l’argento. Secondo gli analisti di Wisdom Tree “anche l’argento si è risvegliato dopo il letargo”. “Crediamo – è la tesi – che l’argento potrebbe superare l’oro se si ripresentasse lo stop dei voli che ha complicato gli spostamenti dell’oro fisico”.
Per chi vuol puntare sul possesso di lingotti e monete fisiche è ormai pienamente funzionante il “Conto Lingotto” che funziona sull’infrastruttura messa a punta dalla Confinvest, quotata sull’Aim, che ha sviluppato, sul mestiere tradizionale di intermediario di oro fisico, una soluzione digitale che consente di investire (e pure di prelevare) direttamente dal proprio conto corrente in operazioni sull’oro. Una forma di investimento che si sta diffondendo, come conferma la crescita del titolo: +50% circa da inizio 2020.