X

Il Testo unico sulla rappresentanza: tutte le novità e qualche limite

Il sistema delle relazioni industriali nel nostro Paese si è evoluto, a partire dagli anni novanta, da un sistema contrattuale-conflittuale, in cui predominava il pendolo dei rapporti di forza (negli anni settanta a favore dei movimenti collettivi, negli anni ottanta a favore delle imprese), ad un sistema di concertazione che garantisse alle imprese e ai sindacati, nell’ ambito ciascuno delle proprie responsabilità, comportamenti coerenti con le conclusioni degli accordi e, più in generale, con gli obiettivi congiuntamente perseguiti.

In realtà il metodo concertativo ha giocato un ruolo positivo soltanto per una breve stagione negli anni novanta quando furono rinnovati i contratti nazionali contenendo il costo del lavoro e permettendo il rientro dall’ inflazione, ma ha dimostrato tutta la sua debolezza e pericolosità nel non sapere affrontare i problemi di competitività e flessibilità, ritardando il ricorso alle misure necessarie sia a livello normativo che aziendale.

La concertazione presuppone infatti l’ unitarietà delle posizioni sindacali e conferisce al dissenso tra i sindacati effetti paralizzanti, attribuendo un potere di veto financo a sindacati che in una determinata realtà aziendale sono del tutto minoritari.   

In questo contesto la vicenda Fiat ha portato ad una brusca accelerazione del processo di modernizzazione delle relazioni industriali in Italia, con l’ abbandono del sistema concertativo ed il ricorso al “criterio maggioritario”, a partire dall’ accordo di Pomigliano del giugno 2010,  nella selezione degli agenti contrattuali più responsabili o che ritengono conveniente una trama di “scambi” con la controparte, purché sostenuti dalla maggioranza dei rappresentanti sindacali aziendali e dei lavoratori.

Le problematiche sollevate dalla questione Fiat sull’ effettiva titolarità alla contrattazione nazionale e aziendale, la applicabilità dei contratti a tutti i lavoratori e la esigibilità degli impegni contrattuali assunti dalla parte sindacale (e talora dalla parte imprenditoriale) sono ora state compiutamente definite dal “Testo unico sulla rappresentanza” sottoscritto venerdì scorso, 10 gennaio, da Confindustria e Cgil, Cisl e Uil,dopo un percorso durato quasi tre anni, superando le resistenze delle categorie a livello imprenditoriale e sindacale, e per il quale sono stati necessari prima la sottoscrizione dell’ accordo del 28 giugno-21 settembre 2011 e poi del 31 maggio 2013.

L’ intesa, sottoscritta a distanza di poche ore dall’ annuncio di Renzi che il jobs act sarebbe intervenuto anche in materia di rappresentatività sindacale, vuole ribadire che le materie delle relazioni industriali e della contrattazione devono essere affidate più all’ autonoma determinazione delle parti sociali che alla politica e al legislatore, con una Cgil che ritrova un pragmatismo antico e non ancora del tutto inaridito, forse per bloccare un paventato asse Renzi-Landini. 

L’ articolato del Testo Unico chiarisce infine molti di quegli aspetti dei protocolli precedenti che rischiavano di risultare semplici enunciazioni. Per quanto riguarda la misura e la certificazione della rappresentanza ai fini della contrattazione collettiva nazionale e di categoria, si conferma il mix tra criterio associativo ed elettivo per individuare la soglia minima che consente a un sindacato di essere ammesso a negoziare il contratto collettivo nazionale : si tratta cioè di un meccanismo selettivo per limitare le presenze al tavolo negoziale nazionale.

La previsione, voluta soprattutto dalla Cgil, tende poi a rendere palese e concreto il “peso” di ciascun sindacato nelle singole categorie (mediante un complesso sistema di raccolta dati e certificazioni che coinvolge l’ Inps ed il Cnel).

Un doppio sbarramento, sempre al fine di evitare la moltiplicazione delle sigle sindacali, è poi previsto alla elezione della r.s.u., e alla conseguente contrattazione aziendale, per quelle associazioni sindacali non firmatarie del ccnl di categoria ma formalmente costituite con un proprio statuto (il riferimento è ai sindacati autonomi e a quelli antagonisti di base), doppio sbarramento costituito dalla accettazione esplicita (anche se improbabile per alcuni sindacati contestatari) delle regole e dei contenuti definiti dal Testo Unico sulla Rappresentanza e dalla presentazione di liste elettorali corredate da un numero di firme pari almeno al 5%  dei lavoratori.   

Il cuore dell’ accordo è comunque rappresentato dalla dichiarata efficacia vincolante della contrattazione aziendale nei confronti di tutti i lavoratori, indipendentemente se iscritti o meno ai sindacati stipulanti,  con la dettagliata specifica dei criteri maggioritari utilizzabili per riconoscere ai contratti aziendali una efficacia “estesa” erga omnes. 

Il Testo Unico ribadisce il principio generale che la contrattazione aziendale non può intervenire su materie già trattate dal contratto nazionale. Tuttavia, a fronte di situazioni di crisi o per favorire lo sviluppo economico ed occupazionale, il contratto aziendale può apportare modifiche al contratto nazionale, ma solo nei limiti, oggetti e procedure previsti da quest’ultimo.

E’ stata insomma confermata, su istanza dei sindacati, la linea delle deroghe “delegate” e governate dal contratto nazionale, preferita rispetto ad una più integrale liberalizzazione (senza vincoli e paletti) del contratto aziendale. Va però segnalata la novità dell’ adesione della Cgil (non firmataria dell’ Accordo quadro del 2009 sugli assetti contrattuali e dell’ Accordo del 2012 per la crescita della produttività e della competitività)  alla possibilità di derogare il contratto nazionale di lavoro, considerato, perlomeno sino ad oggi, intangibile dalla Fiom, peraltro non firmataria degli ultimi due contratti dei metalmeccanici. 

L’ ultima parte del Testo Unico riguarda le disposizioni relative alle clausole e alle procedure di raffreddamento e alle clausole sulle conseguenze degli inadempimenti. Queste disposizioni attribuiscono alle cosiddette “clausole di responsabilità”, ovvero il vincolo a non scioperare per eludere gli impegni presi, efficacia nei confronti dei rappresentanti sindacali aziendali, di tutti i sindacati, anche non firmatari, e delle coalizioni collettive che vi abbiano formalmente aderito, prevedendo conseguenze sanzionatorie in caso di inadempienze, ma non riguardano i singoli lavoratori.  

Peraltro la circostanza che tali clausole vincolino solo le organizzazioni sindacali e non anche i lavoratori, cui il contratto collettivo nazionale o aziendale si applica, ne limita fortemente l’ efficacia, mentre sarebbe stato necessaria, per depotenziare il ricorso alla conflittualità spontanea o pretestuosa, non coperta dall’ azione sindacale,  una previsione di allineamento alle esperienze della maggior parte dei Paesi occidentali, orientate a rendere impegnativo il vincolo di tregua assunto dal sindacato anche per i singoli lavoratori ai quali si applica il contratto collettivo. 

In questo caso occorrerebbe comunque una legge per delineare i margini entro cui sia possibile “vincolare” il diritto di sciopero, inteso come diritto di autotutela del singolo lavoratore: il che ad oggi mi sembra poco praticabile, pur in presenza di una annunciata proposta di riforma semplificatrice delle norme del diritto del lavoro e del diritto sindacale.  

Related Post
Categories: Commenti