Sprigiona sole e mare da tutti i pori e poiché, nato prima giornalista professionista, poi convertitosi dall’interpretazione dei fatti a quella dei piatti, sa bene come descriverli nella sua cucina, conduicendoti in una fascinosa navigazione tra sapori e profumi siciliani, soprattutto quelli della sua Messina alla quale resta legato come il mitico Colosso di Capo Peloro di cui si favoleggia come un semi Dio a protezione e difesa della città dello stretto.
“Quando parli, pensi, crei, agisci – ha dichiarato in un’intervista – cosa fai se non metterci nel del tuo? Siamo un’espressione continua del nostro animus, della nostra storia, della nostra cultura ed educazione; quindi, anche in cucina ciò che faccio non può non affondare nel profondo e il mio profondo è fatto di Sicilia. Mio nonno aveva un’industria di pesce in scatola, la mia famiglia commerciava agrumi, mia madre si alzava all’alba per fare i dolci, casa mia era visitata dai mezzadri che portavano formaggi e frutta della terra, i miei bisnonni giravano per i campi a bordo di mulo. Sono cose che ti restano come tutto ciò che verrà dopo studi compresi”.
Pasquale Caliri, chef dell’esclusivo ristorante del Marina del Nettuno Yachting Club che si affaccia sul fascinoso scenario dello Stretto di Messina, Piatto d’Argento dell’Accademia Italiana della Cucina, membro di Eurotoques, Ambasciatore del Gusto, sembra avere due anime, quella abbarbicata alle rocce battute dai flutti, legata alle tradizioni popolari e gastronomiche della sua terra, e quella aristocratica, anche se dotata di molta ironia, con cui affronta gli argomenti della sua cucina indirizzata a connotarsi di apporti creativi e innovativi.
Se dunque da un lato vale il richiamo dei suoi ricordi di infanzia dall’altro valgono i risultati di scelte oculate per arricchire la sua formazione, come quelle di andare all’ALMA, , l’istituto di alta cucina di Gualtiero Marchesi, dove ha avuto maestri Pietro Leemann e Paco Torreblanca.
Dal maestro svizzero patron del “Joia”, primo ristorante vegetariano europeo a essere premiato con la stella Michelin radica le sue convinzioni di una alimentazione amica dell’ambiente e della salute e soprattutto l’interesse per i principi alimentari delle culture orientali.
Con il secondo, il grande pasticciere di Alicante grande innovatore della pasticceria con uno stile personale e raffinato premiato come Miglior Maestro Pasticcere artigiano d’Europa che ha realizzato la torta per le nozze del Principe delle Asturie, il futuro Re Felipe raffina il concetto di un rigore nella pratica culinaria che è rispetto delle regole innanzitutto, della materia prima, degli ingredienti, delle cotture e una filosofia culturale della cucina sulle quale articola un linguaggio emozionale di sapori e riscoperta della natura che punta a coinvolgere i suoi avventori.
Il piatto che lo chef messinese propone ai lettori di Mondo Food questa settimana, Tamagoyoaki di mare è in pratica la sintesi del suo credo, un elogio della sicilianità ma anche delle risorse che hanno scritto il libro della storia gastronomica di quest’isola, un patrimonio unico al mondo da conservare e preservare.
La tecnica è tutta orientale: il Tamagoyaki diffuso nello street food giapponese è una sorta di frittata arrotolata su sé stessa diverse volte sino a farne un cilindro da tagliare a fette.
L’ingrediente principale però è tutto siciliano: “U mauru”. Così nell’isola viene chiamata l’alga rossa “Chondrachantus Teedei”, diffusa nel litorale catanese, callosa e dal sapore intenso di mare. Il piatto è un “Omaggio al mare che scompare” devastato dall’inquinamento e dall’incuria. La gustosa alga, infatti, riesce ad attecchire solamente tra rocce vulcaniche ed in acque perfettamente limpide prive di agenti inquinanti.
“u Mauru” (“magro”) l’alga rossa con la quale i pescatori al rientro facevano un insalatina con olio e limone
Il piatto prevede un Tamogoyaki reso verde dalla presenza degli spinaci, all’ interno “u Mauru” (“magro”, in dialetto siculo, appunto perché costituiva lo scarno aperitivo dei pescatori che tornando dalla loro giornata ne facevano un insalatina con olio e limone) e delle cozze dei laghi di Ganzirri (Messina).
Il tutto adagiato su un ristretto di “mpepata” di cozze arricchita con del pomodoro Pachino, una salsa di riccio di mare, del caviale, dell’alga fritta per donare croccantezza.
Praticamente un boccone di mare, iodato, intenso, salino, un sapore intenso di sicilianità
La ricetta del Tamagoyaki di mare, salsa di riccio su ‘mpepata di cozze
Ingredienti
3 uova grandi
30 gr. Alga Mauro
250 gr. Cozze
100 gr patate
50 gr ricci di mare
25 gr farina di spinaci
70 gr. Pomodorini Pachino
Olio Extravergine di Oliva
Pepe Nero
Amido di Mais
Acqua di mare depurata
Un’arancia
Un limone
Aglio
Caviale
Per il Tamagoyaki:
In un bowle sbattere le uova unendo al composto gli spinaci liofilizzati, una decina di cozze tagliuzzate e l’alga Mauro. In una padella ben oliata stendere un velo sottile di composto sino a farlo rapprendere, arrotolare ed aggiungere altro composto, via via sino a formare un cannolo sfogliato di quattro, cinque, o più strati. Tagliarlo a piccoli pezzi a becco di flauto.
Per la salsa “’mpepata”:
Aprire le cozze in una casseruola con olio extravergine, aglio, pomodorini, pepe nero, scorza di limone. Ricavare il liquido, filtrare e addensare con maizena.
Per la salsa di riccio di mare:
Frullare il riccio di mare con la patata bollita, diluire con acqua di mare microfiltrata e zest d’arancia.
Composizione del piatto:
Tagliare una fetta di Tamagoyaki e adagiarla sulla salsa di cozze, finire con la salsa di riccio di mare, il caviale e guarnire con alga fritta.