DALLA CINA ARRIVA UNA SPINTA ALLE BORSE. MA IL PETROLIO VOLA SOPRA I 120 DOLLARI
Due incognite pesano sulla riapertura dei mercati. All’ormai tradizionale braccio di ferro a Bruxelles sul debito greco si è infatti aggiunto lo stop dell’Iran alle forniture di greggio a Francia e Regno Unito. Ma da Pechino arriva la notizia che ha dato la spinta ai mercati asiatici.
La banca centrale cinese ha diminuito la riserva obbligatoria per le banche di 50 punti base, portandola dal 21 al 20,5 per cento. Il provvedimento entrerà in vigore il 24 febbraio e, come ha spiegato la banca centrale, servirà a immettere circa 400 miliardi di yuan (48 miliardi di euro) di liquidità nel sistema bancario domestico con lo scopo di sostenere la crescita economica del paese. Secondo gli osservatori si tratta solo di una prima mossa: di qui al Congresso del Partito che sancirà la nuova leadership di Xi JinPing, sono previsti altri tagli.
La decisione ha innescato un rally sui mercati asiatici, già reduci da una settimana positiva. L’indice Nikkei ha registrato un balzo dell’1,20%, nonostante il deficit (19 miliardi) della bilancia commerciale, conseguenza del calo della domanda europea. Anche l’Hang Seng di Hong Kong, dove oggi debutta il primo indice di volatilità della Borsa asiatica, ha messo a segno un rialzo dello 0,60%.
“In seguito alla decisione ufficiale annunciata dal ministero degli Esteri, il ministero del Petrolio ha sospeso la vendita di petrolio alle compagnie francesi e britanniche”, ha confermato ieri il ministro iraniano del petrolio, precisando di “avere intenzione di vendere petrolio ad altri clienti”. Tra questi non figurerà l’Italia: nei giorni scorsi, fonti ufficiose iraniane avevano annunciato la sospensione di forniture di petrolio a diversi paesi europei, compresa l’Italia.
Semmai la diplomazia di Teheran, il secondo Paese dell’Opec, con una produzione di 3,5 milioni di barili di petrolio al giorno (2,5 milioni esportati), guarda ad Oriente. L’obiettivo è di vendere ad India e Cina altri 500 mila barili, più o meno quanto venduto in Europa. L’Asia, però, già assorbe il 70% circa dell’export petrolifero di Teheran. E pare che l’Iran stia incontrando grosse difficoltà a vendere altro greggio, data la frenata dell’economia in Cina ed India. Se l’Iran non riuscirà a collocare il greggio entro marzo, potrebbe essere costretto a rallentare la produzione o a sistemare le scorte nei depositi. In entrambi i casi il prezzo del greggio potrebbe crescere in maniera esponenziale, dicono gli esperti. Già oggi, però, le quotazioni del brent sono ai massimi da otto mesi. A Hong Kong le quotazioni del greggio hanno toccato quota 121,11 al barile.
IN ARRIVO LA FUMATA BIANCA SU ATENE
Forse oggi sarà la volta buona. Il condizionale è d’obbligo, dati i precedenti, ma su un punto almeno i ministri dell’eurozona, il governo di Atene e gli altri attori della tragedia greca concordano: è il momento di metter la parola fine al negoziato sugli aiuti al tallone d’Achille dell’eurozona. Al di là dei buoni propositi, però, ieri sera le discussioni tra i rappresentanti delle Finanze europee erano ancora in alto mare. Tanto per cominciare, il costo dell’operazione è salito: alla Grecia, rivela il Financial Times, servono in tutto 170 miliardi. Ai 34 già sborsati nella fase uno, se ne devono aggiungere 136, ovvero 6 in più della stima delle scorse settimane. Olanda e Germania insistono però per fissare a 130 miliardi il tetto dell’intervento. In parte, l’onere aggiuntivo si può scaricare sui creditori privati, sfidando però la reazione dei mercati.
La svolta può venire dalla Bce: la banca centrale ha in portafoglio 40 miliardi di titoli greci su cui vanta una buona plusvalenza. Gli sherpa di Mario Draghi suggeriscono di cederli in cambio di nuovi titoli con una scadenza allungata. Due gli ostacoli: l’opposizione della Bundesbank e dei creditori privati che non vedono di buon occhio un trattamento privilegiato per la Bce rispetto alle banche, che subiranno un haircut del 70%,
Il team di Atene, capitale anche ieri sconvolta dalle proteste, anche se meno convinte e teatrali, si presenterà all’appuntamento con nuovi tagli per 325 milioni. I sacrifici, per la verità, non sembrano così drammatici: chi riceve una pensione di 1.500 euro, subirà una riduzione di 24 euro. Il resto dei risparmi deriva dal taglio degli assegni di sostegno alle famiglie numerose.
PIRELLI GIOCA LA CARTA CINESE. STM CONFERMA LA CEDOLA (5,5%)
Le notizie in arrivo dalla Cina e il via libera all’accordo greco potrebbero compensare ampiamente l’effetto dell’embargo iraniano a Londra e a Parigi, del resto clienti modesti del greggio di Teheran. Da notare che oggi mancherà l’effetto Wall Street: i mercati Usa sono chiusi per il President’s day. Sui listini è così prevista, salvo nuove sgradite sorprese dal dossier Grecia, una partenza in rialzo della settimana che si concluderà con la riunione del G20 che dovrà dare il libera all’aumento della dotazione del Fmi.
In Piazza Affari, in particolare, si aspetta la conferma di Finmeccanica, venerdì superstar del listino, grazie ad un balzo del 18% innescato dalla notizia che la società venderà 30 aerei addestratori a Israele per un valore complessivo di 1 miliardo di dollari.
Sotto i riflettori anche Pirelli. Marco Tronchetti Provera ha annunciato in un’intervista da Shanghai al Sole 24 Ore che l’azienda milanese ha in programma una serie di robusti investimenti in Cina, destinata a diventare la prima piattaforma produttiva di Pirelli, con una capacità di 10 milioni di pneumatici vettura annui. Tronchetti Provera ha ricordato che nel capitale di Pirelli figurano anche investitori istituzionali asiatici e cinesi.
Secondo quanto scritto su Il Sole24Ore nel week-end i vertici di Stm puntano a confermare l’attuale ammontare della cedola. Il quotidiano ha ricordato che agli attuali livelli di prezzo il dividendo della società italofrancese garantisce un rendimento del 5,5%.
Sotto i riflettori, al solito, la partita Fondiaria-Sai. Nel week-end la cordata Unipol-Mediobanca ha incassato il sostegno del Banco Popolare, oltre al rifiuto di Cattolica Assicurazioni di schierarsi al fianco di Palladio e Sator.
Grandi movimenti anche per MontePaschi (uno dei titoli leader della settimana scorsa con un rialzo del 9,3%) e Unicredit, ormai in piena campagna per il rinnovo del Cda.
Meno dieci. Tra dieci giorni, infatti, la Bce farà scattare la seconda fase di Ltro, cioè la distribuzione di liquidità all’1 per cento alle banche che presenteranno garanzie collaterali di vario tipo, anche prestiti nei confronti di altri istituti (purché coperti dall’avallo delle rispettive banche centrali). Una pioggia di quattrini che sta già facendo discutere. Lo stesso governatore di Banca d’Italia, Ignazio Visco, ha messo il dito nella piaga intervenendo sabato al Forex: “I prestiti alle imprese si sono contratti di circa 20 miliardi; l’entità della riduzione – ha aggiunto – è molto elevata nel confronto storico”. Inoltre, “in base a dati preliminari, un’ulteriore, lieve, contrazione del credito si sarebbe verificata in gennaio”. Un atteggiamento che rischia di complicare ancor di più le prospettive del 2012, “anno di recessione”.
Visco non si è limitato alla moral suasion. “La Banca d’Italia sta per fornire alle banche “indicazioni volte a orientare le scelte” su politiche dei dividendi e remunerazione dei manager” che dovranno tenere conto delle necessità degli istituti di credito di rafforzare il capitale. Qualche soldo in meno ai banchieri, un po’ di ossigeno in più per le pmi.