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Il Sud come opportunità? Sì, ma rivoluzionando le politiche

Imagoeconomica

Ci vuole un cambiamento radicale delle politiche per il Mezzogiorno. Bisogna contrastare duramente l’intermediazione politico-burocratica che genera rendite parassitarie e assistenzialismo. Occorre puntare sulle forze più moderne, che pure esistono, attraverso il sostegno agli investimenti pubblici e privati e la formazione del capitale umano. Questa, in estrema sintesi, la conclusione cui giungono Claudio De Vincenti e Giuseppe Coco, che hanno coordinato un folto gruppo di studiosi ed esperti delle problematiche meridionali costituito da Astrid. Analisi e conclusioni degli studi (tutti assai pregevoli e approfonditi) sono ora pubblicati in un volume edito da Il Mulino, intitolato “Una questione nazionale – Il Mezzogiorno da problema a opportunità”.

De Vincenti, già ministro del Mezzogiorno e delle Coesione territoriale nei governi Renzi e Gentiloni, apre una profonda riflessione sull’aggravarsi dell’arretramento meridionale rispetto al resto del Paese, ripercorrendo sia i malanni strutturali di cui soffre il Sud da lungo tempo, sia gli errori delle politiche economiche e sociali degli ultimi tre decenni, dopo la scomparsa della Cassa per il Mezzogiorno. Risulta confermata un’analisi già avanzata da alcuni sulle cause più antiche dei ritardi nello sviluppo del Meridione: da un lato la carenza di capitale sociale, cioè l’insufficiente formazione scolastica e professionale e l’incapacità relazionale, dovuta ad un certo familismo sospettoso verso il resto del mondo, e dall’altro l’affermazione di classi dirigenti estrattive, che campano cioè sulla pigra intermediazione delle risorse pubbliche disinteressandosi (se non ostacolando) le forze e le iniziative capaci di innescare una positiva crescita.

Su questo sfondo, negli ultimi decenni sono state tentate politiche che, invece di correggere i difetti strutturali del Sud, li hanno favoriti, condannando il meridione alla stagnazione: e così, l’idea di far partire dal basso la scelta delle politiche – propugnata in particolare da Fabrizio Barca – ha finito per rafforzare le classi dirigenti locali, a scapito delle forze che avrebbero voluto operare sul mercato. Traspare tra le righe del testo una critica anche alle scelte dell’attuale ministro per il Sud, Giuseppe Provenzano: spendere molti miliardi per uno sgravio contributivo generalizzato, per tutti i lavoratori meridionali e non solo i nuovi assunti, è una scelta criticata dall’Europa e soprattutto di dubbia efficacia, come dimostrano le passate esperienze. Al limite, un intervento così massiccio dello Stato avrebbe dovuto essere legato a trattative con i sindacati per ottenere un rinnovo contrattuale differenziato per le regioni meridionali, rapportato alla minore produttività di queste zone.

La ricetta per rivoluzionare le politiche verso il Mezzogiorno scaturisce con forza dalle numerose analisi che esplorano i vari settori dell’economia e del sociale (dalla scuola alla sanità, dalle imprese alle infrastrutture) ed è sintetizzata efficacemente da De Vincenti e dall’ottimo saggio di Giuseppe Coco. Essa consiste nel puntare sulle imprese, sulla formazione del capitale umano e sugli investimenti in infrastrutture. Questi ultimi devono essere concentrati sui progetti atti a migliorare la produttività del sistema, e non devono disperdersi in piccoli interventi sparsi. Ma tutto questo ha bisogno di un terzo elemento: il cambiamento profondo dei processi decisionali, che punti su meccanismi automatici, snelli e trasparenti.

De Vincenti trova conferma della bontà delle scelte politiche fatte durante la sua esperienza ministeriale (patti per il Sud, incentivi automatici, contratti di sviluppo, zone economiche speciali, Resto al Sud per i giovani) scelte che poi sono state depotenziate dal governo gialloverde e che stranamente non sono state riprese dal governo giallorosso.

Bisogna rompere con il generico rivendicazionismo meridionale. È ormai chiaro che gli investimenti sono calati, al di là degli effetti della crisi generale, non per mancanza di risorse, ma a causa di una cronica incapacità delle Regioni meridionali di progettare, appaltare e gestire la spesa. Bisogna quindi ripensare il decentramento, ridurre il ruolo della concertazione tra i più svariati enti che ritarda il processo decisionale, varare strumenti di incentivazione per le imprese automatici e stabili nel tempo. In questo modo si possono rafforzare le forze moderne e produttive, che pure continuano a resistere nel meridione, puntando a modificare i rapporti di forza sociali e politici a scapito dei ceti, oggi dominanti, che vivono di intermediazione parassitaria.

È chiaro che un simile programma deve trovare le gambe politiche sulle quali camminare. E oggi, a parte il piccolo nucleo di forze liberali, non si vedono partiti disposti a puntare sul sovvertimento degli equilibri esistenti. Il problema della transizione dall’attuale sistema clientelare a un nuovo sistema produttivo esiste sia sotto l’aspetto politico (che ne facciamo del ceto dirigente attuale, quello degli Emiliano, De Luca, Musumeci?) sia sotto il profilo economico, dato che bisogna spostare un’ampia parte della popolazione dal vivere di assistenza a un impiego produttivo. Bisogna tener presente che una immutabile legge socioeconomica afferma che la moneta cattiva scaccia quella buona. E questo è quello che è avvenuto più volte in passato, quando abbiamo visto amministratori locali ostacolare iniziative produttive preferendo elargire sussidi. E quando la promessa del reddito di cittadinanza ha spinto le masse meridionali verso lo specchietto demagogico agitato dai 5 Stelle.

Proprio l’esperienza ministeriale di De Vincenti però dimostra che, impostando le politiche corrette, il Sud reagisce con prontezza, tanto che, nel triennio 2016-2018, aveva fatto registrare tassi di crescita superiori a quelli del Centro Nord. E questa è la prova che esiste il margine per affrontare il rischio del cambiamento, puntando sull’orgoglio dei meridionali che devono soprattutto diventare protagonisti della ripresa, e quindi pesare sulle scelte dell’intero Paese.

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