Il dibattito sul salario minimo tra:
- chi lo vorrebbe ma deve essere di importo significativo e quindi non minimo ampliando così l’area di lavoro nero
- chi ritiene che, avendo definito una soglia minima non ci sarà più la spinta per una contrattazione rivendicativa finalizzata a definire una corretta corrispondenza tra prestazione lavorativa e retribuzione ed il salario minimo diventerebbe l’alibi per non aumentare le già basse retribuzioni Italiane…
sta portando all’impossibilità di affrontare il tema del salario minimo come un aspetto della necessaria correlazione tra sistema economico e sistema di Relazioni Industriali.
Sul piano legislativo le recenti riforme sul lavoro tra tentativi di liberalizzazioni e introduzioni di vincoli (si veda l’altalenante normativa sui contratti a termine o sull’utilizzo dei vaucer) non hanno portato a vitalizzare il sistema di relazioni industriali italiano.
La diffidenza di Confindustria e sindacati su interventi legislativi
Le Confederazioni Sindacali e la Confindustria hanno sempre visto con sospetto l’intervento del legislatore. Può essere sufficiente ricordare la ratifica dell’accordo interconfederale del settembre 2011 con la quale le parti hanno escluso di avvalersi dell’art. 8 della Legge 148/2011.
L’art. 8 a sostegno alla contrattazione collettiva di prossimità, riconosceva l’efficacia nei confronti di tutto il personale degli accordi sottoscritti anche in deroga ad alcune normative di legge e di contratto purché approvate dalla maggioranza dei lavoratori.
La Confindustria avrebbe potuto eccepire che l’articolo era troppo impegnativo per le aziende perché introduceva un obbligo all’accordo mentre in passato le normative legislative imponevano alle aziende prevalentemente un obbligo di “procedure di consultazione” ma preferì confermare la scelta di autorefenzialità quasi di natura corporativa dei soggetti firmatari.
Vale la pena di ricordare che quell’articolo fu ampiamente contestato, venne persino proposto un referendum abrogativo ma è servito a risolvere molte situazioni di continuità di lavoro rispetto a contratti a termine in scadenza ed ha legittimato il comportamento dell’allora Gruppo FIAT che ha potuto applicare un contratto autonomo ai propri dipendenti che, malgrado la guerriglia giudiziaria, è uscito legittimato e recentemente rinnovato dalle Aziende: Stellantis IVECO, CNH, Ferrari pur in assenza della continuità del Gruppo FIAT.
Quanto sopra a dimostrazione che l’intervento legislativo non ha ridotto le possibilità negoziali delle parti sociali anzi lo ha ampliato.
Il salario minimo per legge serve?
La domanda da porsi allora è: serve o non serve un salario minimo introdotto per legge e se si perché ?
Non basta sostenerne la necessità perché ce l’hanno tutti gli altri stati europei e perché ce lo chiede la direttiva europea.
La sensazione è che non si voglia veramente fare questa legge, perché seguendo i vari ragionamenti che fanno le parti in causa, si ha la netta sensazione che si sia rimasti sul terreno dello scontro ideologico e del “terrore” di perdere potere, quel potere che alcuni sindacati ritengono di poter avere solo controllando (neppure sempre negoziando) il Contratto Nazionale delle varie categorie. E con la scusa del dubbio che l’introduzione del salario minimo per legge, non rappresenti una tutela aggiuntiva a quelle che già ci sono, ma che si tratti di una tutela sostitutiva, non si vuole affrontare il problema.
Le paure, vere o supposte, di qualunque tipo siano bloccano sempre il confronto che invece deve restare “pragmatico”. E allora di nuovo perché introdurre per legge “un salario minimo”?
Perché introdurre un salario minimo per legge?
Una legge sul salario minimo dovrebbe rappresentare la corretta applicazione dell’articolo 36 della Costituzione che assegna alla retribuzione non solo la proporzionalità “alla quantità e qualità del suo lavoro” ma anche una finalità sociale perché in ogni caso deve “essere sufficiente ad assicurare a sè e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa “.
La quantificazione del salario minimo può essere facilmente definita senza ulteriore negoziazione prendendo a riferimento il valore del massimale riconosciuto dall’INPS per i lavoratori posti in cassa integrazione definito per il 2023 in 1.352,19 euro mensili e nessuno ha mai contestato che tale valore non rispondesse al dettato costituzionale dell’Art 36, ma le eventuali integrazioni retributive sono state di volta in volta frutto di contrattazione aziendale.
Occorre ricordale che tale importo fa riferimento a 174 ore medie mensili pari a 2.088 ore annue retribuite (40 ore per 52 settimane più in giorno) e conseguentemente la quota oraria si colloca a 7,77 euro per ora, importo che verrebbe automaticamente adeguato ai valori del massimale INPS.
Tale importo assicura una soglia minima da applicare in ogni caso ai lavoratori senza contratto e ai contratti con retribuzioni marginali, ma è ancora inferiore ai principali contratti collettivi nazionali e quindi non ne impedisce l’evolversi, anzi avendo definito per legge il rispetto della finalità sociale dell’art. 36 della Costituzione, la contrattazione nazionale sarà più orientata a definire nuovi livelli retributivi contrattuali legati non solo al processo inflattivo ma coerenti con l’andamento dell’economia e all’estensione del sistema di welfare previdenziale ed assistenziale mentre la contrattazione aziendale potrà spaziare su riconoscimenti retributivi maggiormente correlati a produttività, qualità della prestazione, risultati economici- produttivi, competitività, assegnando ai risultati della contrattazione una flessibilità retributiva aggiuntiva che non pone limiti agli importi riconosciuti (vedi ad es. gli importi erogati recentemente in Ferrari).
Il salario minimo come argine allo sfruttamento di chi non è coperto dai Contratti Nazionali
Vale la pena ricordare che se il salario minimo è correlato a 2088 ore retribuite le ore lavorate annue sono significativamente inferiori in quanto occorre detrarre le ore per: ferie, permessi retribuiti, festività, intervalli retribuiti quali mense, assenteismo e conseguentemente l’azienda ha annualmente a disposizione per la prestazione lavorativa un numero di ore decisamente inferiore ed è su questo numero di ore che si può concentrare l’attenzione di una parte della contrattazione integrativa creando quelle condizioni di competitività che il sistema attuale non è riuscito a realizzare.
Ed ancora, anche se il problema da risolvere in Italia è quello dei redditi da lavoro più bassi rispetto agli altri paesi del G7, l’introduzione del salario minimo deve diventare un argine efficacie allo sfruttamento per le fasce delle forze lavoro attualmente non coperte dalla garanzia dei Contratti Nazionali o che si trovano in quella zona grigia posta tra lavoro autonomo e lavoro subordinato che si sta sempre più diffondendo e rappresenterebbe una spinta per rendere trasparenti e confrontabili le retribuzioni dei lavoratori.