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Il ritorno dei dazi e l’effetto domino: l’Italia tra i Paesi più colpiti, cosa può fare? L’analisi Ref

Il 2 aprile Trump ha annunciato nuovi dazi sulle importazioni, scuotendo i mercati globali. L’Italia, tra i Paesi più colpiti, rischia gravi ripercussioni sull’export. Come affrontare il protezionismo e proteggere il made in Italy? L’ultima Congiuntura di Ref Ricerche

Il ritorno dei dazi e l’effetto domino: l’Italia tra i Paesi più colpiti, cosa può fare? L’analisi Ref

Il 2 aprile, il presidente americano Donald Trump ha annunciato l’introduzione di nuovi dazi sulle importazioni, un intervento che ha scosso i mercati globali e aperto un capitolo di incertezze economiche. Durante quello che ha definito il “Liberation Day”, Trump ha rilanciato il protezionismo statunitense, mettendo in discussione le regole commerciali internazionali che gli Stati Uniti stessi avevano contribuito a costruire. Le ripercussioni di questa mossa, come sottolineato nell’ultimo numero di Congiuntura REF, periodico di analisi e previsione sull’economia italiana realizzato da Ref Ricerche, rischiano di coinvolgere tutto il mondo, Europa inclusa, con l’Italia in prima linea tra i Paesi più esposti.

Trump rilancia la sfida commerciale

La nuova amministrazione americana ha deciso di utilizzare i dazi doganali come strumento per riequilibrare i rapporti commerciali con il resto del mondo. Il concetto alla base di questa mossa è relativamente semplice ma altamente controverso: se un Paese vende più di quanto compra dagli Stati Uniti, allora andrà “punito” con tariffe più alte. A partire dall’inizio di aprile 2025, i dazi statunitensi sono stati innalzati: 20% per l’Unione europea, 34% per la Cina e addirittura 46% per il Vietnam. Sono stati esclusi Canada e Messico grazie agli accordi di libero scambio già in essere. La scelta di basarsi sul saldo commerciale bilaterale è problematica, in quanto non trova fondamento nelle attuali regole del commercio internazionale, violando chiaramente le normative del Wto.

Questa mossa ha immediatamente destabilizzato i mercati finanziari. Wall Street ha reagito negativamente con un forte calo del Nasdaq, mentre il dollaro ha registrato un inaspettato indebolimento, segno che i mercati leggono nei dazi un’indicazione di chiusura e instabilità economica. Le politiche protezionistiche, infatti, sono in grado di scoraggiare gli investimenti e rallentare gli scambi internazionali, elementi vitali per la crescita globale.

L’effetto domino: inflazione, tassi e scambi internazionali

Le nuove politiche protezionistiche statunitensi non si limitano a modificare i rapporti commerciali bilaterali, ma hanno anche un effetto domino su tutta l’economia globale. Secondo le stime del Wto e dell’Ocse, se i dazi dovessero rimanere in vigore (sono stati intanto rinviati di 90 giorni per permettere agli Stati di “trattare” con gli Usa), il Pil globale potrebbe subire una contrazione fino allo 0,8% nel biennio 2025-2026. Le economie del Nord America, e in particolare gli Stati Uniti, sarebbero le più penalizzate, ma anche l’Europa subirebbe danni, seppur in misura minore.

L’aumento dei dazi provoca un innalzamento dei costi per le imprese, ostacola la logistica globale e introduce una notevole incertezza. Di fronte a politiche imprevedibili, molte imprese decidono di rimandare decisioni strategiche, con un impatto negativo sulla crescita. A livello macroeconomico, la Federal Reserve si trova ora a fronteggiare una situazione complessa: da un lato c’è la pressione per abbassare i tassi e stimolare l’economia, dall’altro l’aumento dei dazi porta a una crescita dei prezzi, minacciando la stabilità inflazionistica.

Il rafforzamento dell’euro rispetto al dollaro non fa altro che aggravare la situazione per le imprese europee, che si trovano a dover far fronte a tariffe più alte, mentre l’incertezza economica rende difficile una pianificazione strategica a lungo termine.

L’Italia tra i paesi più colpiti

Il nostro Paese, tra i più esposti ai dazi statunitensi, si trova in una posizione particolarmente vulnerabile. Secondo il rapporto di Congiuntura REF, i settori italiani più a rischio includono abbigliamento, calzature, alimentare e meccanica, comparti in cui l’export verso gli Stati Uniti rappresenta una parte consistente del fatturato.

Già nel 2024, i prodotti italiani esportati negli Stati Uniti subivano una tassazione media del 2,1%. Con i nuovi dazi, il costo per molte aziende aumenterà in modo significativo, mettendo a rischio la competitività delle nostre imprese sui mercati internazionali. Sebbene alcuni settori, come quello farmaceutico o metalmeccanico, possiedano una maggiore capacità di assorbire l’urto, altri, come il food & beverage o il tessile, potrebbero affrontare difficoltà molto maggiori.

Nel 2024, gli Stati Uniti sono stati il secondo partner commerciale dell’Italia per valore di esportazioni. Il made in Italy, noto per la sua qualità, gode da anni di un ottimo posizionamento sul mercato statunitense. Con l’introduzione dei nuovi dazi, il rischio è che le tariffe medie possano raddoppiare o addirittura triplicare in alcune categorie di prodotto, compromettendo la competitività dei nostri beni e mettendo a rischio le quote di mercato conquistate con fatica.

Il settore della moda e delle calzature, simbolo del made in Italy, è tra i più colpiti. REF segnala che i dazi effettivi su questi prodotti erano già superiori al 10% nel 2024, e con le nuove misure potrebbero aumentare ulteriormente, mettendo molte piccole e medie imprese fuori mercato. Il settore alimentare, pur rappresentando una quota importante delle esportazioni italiane verso gli Stati Uniti, è meno vulnerabile in termini di PIL nazionale, ma rischia comunque di subire un danno occupazionale e reputazionale.

Inoltre, il settore meccanico e metalmeccanico, ad alto valore aggiunto e con una forte propensione all’export verso gli Stati Uniti, potrebbe vedere i propri margini ridotti nel lungo periodo a causa della combinazione di dazi, cambio sfavorevole e incertezze strategiche.

Cosa può fare l’Italia: tra diplomazia commerciale e strategia industriale

In questo contesto, le opzioni per l’Italia si articolano su più fronti. È fondamentale che il nostro Paese si faccia parte attiva in una risposta unitaria europea, che ponga in discussione l’uso arbitrario dei dazi e difenda le regole del commercio internazionale. L’Unione europea, infatti, deve rispondere non solo con contromisure, ma anche con una proposta politica di lungo periodo che favorisca la cooperazione internazionale.

In secondo luogo, l’Italia deve diversificare i suoi mercati di sbocco, mirando a nuove aree di crescita come il Sud-est asiatico, il Medio Oriente e l’Africa. Questi mercati potrebbero rappresentare opportunità di sviluppo per il made in Italy, ma richiedono un impegno coordinato in termini di logistica, promozione e diplomazia economica.

Infine, a livello interno, è necessario rafforzare la competitività delle imprese italiane, migliorando l’ambiente economico domestico: ridurre la burocrazia, investire nelle infrastrutture, favorire la digitalizzazione e l’accesso al credito. Solo in questo modo, le nostre imprese saranno in grado di reagire alle sfide imposte dai dazi e di cogliere nuove opportunità di crescita.

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