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Il risparmio delle famiglie italiane finisce lontano

Sarà anche vero che per effetto delle trasformazioni prodotte negli ultimi 15 anni da un mercato globalizzato sempre più connesso e da una crisi che a partire dal 2007 ha colpito pesantemente le famiglie e le imprese, la popolazione del nostro paese si sia trasformata progressivamente da formica a cicala (tanto per ricordare un articolo passato di Luca Ricolfi). Ma anche in un contesto di ridimensionamento della propensione al risparmio rispetto al passato risulta sempre di stringente attualità una domanda che troppo spesso viene sottaciuta o tralasciata, ossia quella del pericolo che la ricchezza degli italiani possa finire in mani estere.

Un pericolo, questo, non legato ad una eventuale cattiva gestione delle risorse finanziarie che i risparmiatori hanno allocato, quanto alla possibile mancanza di ricadute ed investimenti sul territorio che decisioni prese lontano dal nostro Paese possono determinare.

Non può quindi che essere salutato con favore il fatto che le nostre preoccupazioni in materia, sia dell’Assopopolari che di coloro che hanno interesse a salvaguardare lo sviluppo e la coesione delle economie locali, abbiano iniziato a diffondersi e ad entrare nel dibattito economico, come dimostra anche un recente articolo pubblicato sulla stampa finanziaria nazionale, dove, dati alla mano, si dimostra come ormai in numerose delle più importanti banche italiane l’azionista principale sia straniero (per la maggior parte fondi statunitensi) e che tre banche nazionali siano completamente a controllo estero. Una situazione, questa, che non ha eguali in nessun altro paese europeo di dimensione simile all’Italia (non è così ad esempio in Francia e Germania) e che si riscontra solo in nazioni più piccole.

Una tendenza, questa evidenziata, che la riforma delle Banche Popolari, mediante l’imposizione della trasformazione in società per azioni, ha ulteriormente accelerato e che rischia in prospettiva di allontanare la banca dal suo territorio di origine, soprattutto se le decisioni saranno prese altrove.

Tutto ciò non significa che il sistema bancario italiano o l’economia italiana non debbano essere aperti all’esterno, a maggior ragione se è possibile reperire in questo modo risorse aggiuntive per promuovere lo sviluppo. Ma forse una più lucida ed ampia comprensione del ruolo storicamente svolto dal sistema creditizio in Italia, e in particolare dalle banche del territorio quali le popolari o le banche di credito cooperativo, non sarebbe superfluo, considerando anche come il modello produttivo italiano sia basato prevalentemente sulle piccole e medie imprese (da cui i famosi distretti industriali) e sullo stretto legame di queste aziende con gli istituti di credito locali.

In Francia la cooperazione bancaria viene esaltata (proprio nei giorni scorsi si è celebrato il centenario della legge che ha istituzionalizzato le Banche Popolari in questo paese), in Germania la Bundesbank chiede alla BCE un alleggerimento della pressione regolamentare per ben 800 banche tedesche, tra Banche Popolari e Casse di Risparmio, per mettere queste ultime nelle condizioni di svolgere il proprio compito di prossimità all’economia reale.

Forse sarebbe il momento che anche in Italia venissero presi ad esempio tali politiche e si facesse uno sforzo comune per preservare e mettere nelle condizioni di operare al meglio le banche del territorio, che ancora oggi rappresentano una risorsa grazie al contributo che continua a fornire alla crescita economica. Sarebbe comunque almeno auspicabile che si spiegasse meglio ai risparmiatori chi detiene oggi il controllo delle principali banche che gestiscono i loro risparmi, specie se si predica maggiore inclusione ed educazione finanziaria.

* L’autore è il Segretario Generale di Assopopolari

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