Si riparte dopo la svolta epocale che ha spiazzato osservatori ed economisti: Donald Trump, lungi dal terrorizzare i mercati azionari, ha innescato il più sorprendente e più imprevedibile rally delle Borse. L’indice Dow Jones ha chiuso venerdì ai massimi di sempre, al termine della miglior settimana degli ultimi cinque anni (+5%). Le banche Usa hanno messo a segno un rialzo dell’8%, la miglior performance dopo il rimbalzo dai minimi del 2008. Buoni guadagni per tutti gli indici europei, a partire da Piazza Affari, che ha registrato un progresso in cinque sedute del 3%, dietro Francoforte (+4%).
Passata la sorpresa, da stamane i mercati cercheranno di capire quanto solido sia l’effetto Trump. Warren Buffet, che non lo ama, ritiene che il neo presidente (il “comunicatore più abile sulla piazza”) non frenerà il trend al rialzo di Wall Street. Henry Kaufmann, il guru che previde il ribasso del mercato obbligazionario negli anni Settanta, è convinto che, dopo una lunga stagione di tassi bassi, si sia verificato un nuovo cambio epocale.
Molte, troppe cose sono cambiate nel giro di pochi giorni sul fronte delle valute e dei rapporti geopolitici per tracciare una previsione credibile dei prossimi 100 giorni, i primi dell’era Trump. Per ora i mercati vivono all’insegna della suggestione dei 1.000 miliardi che il neo presidente promette d’immettere nell’economia Usa e delle ricadute che, nonostante le minacce di protezionismo, potrebbero avere sulla crescita mondiale.
Ma l’agenda internazionale è segnata dalla politica sull’immigrazione che Trump ha annunciato nell’intervista tv di stanotte alla Cbs: espulsione immediata di tre milioni di clandestini (per lo più dal Messico) e barriere alzate contro i musulmani. Nella nuova mappa di alleanze e di inimicizie della nuova America, vicina alla Russia ma ignorata da Pechino (che non ha fatto gli auguri a Trump), spicca la calda accoglienza riservata a Nigel Farage, leader dello Ukip, e il silenzio nei confronti di Bruxelles.
In una situazione così non resta che navigare a vista, senza azzardare troppe previsioni. Tra le note più rilevanti della settimana spicca ancora l’attualità di Washington.
Giovedì Donald Trump riceverà la visita del premier giapponese Shinzo Abe. Tokyo è uno dei partner nel mirino del Presidente Usa per il contributo, a suo avviso troppo modesto, alle spese per la difesa nello scacchiere del Pacifico. Il Parlamento giapponese, inoltre, ha appena ratificato il trattato commerciale trans-Pacifico che Trump intende cestinare.
Infuria intanto il toto nomine: per la carica di segretario al Tesoro, dopo il rifiuto di Jamie Dimon, il favorito è Steven Mnuchin, ex Goldman Sachs, già responsabile finanziario della campagna elettorale di Trump. Non è esclusa la candidatura di Jeb Hensarling, il deputato del Texas che più spinge per l’abolizione della legge Dodd-Frank.
Settimana calda anche per la Fed, nell’approssimarsi dell’ultimo meeting del 2016 (13-14 dicembre) che delibererà l’aumento dei tassi, probabilmente il primo di una serie. Giovedì Janet Yellen, già sfiduciata dal Presidente, comparirà davanti al Senato per un’audizione che si annuncia assai delicata: sarà suo compito spiegare che l’aumento arriva al seguito del miglioramento dell’economia e non del nuovo quadro politico.
In settimana parleranno anche William Dudley (Fed di New York), James Bullard (Saint Louis), Esther George (Kansas City) e il vice presidente Stanley Fischer, che già si è espresso sulla necessità di alzare il costo del denaro: “Siamo vicini a centrare l’obiettivo di inflazione e di crescita dei posti di lavoro”, ha dichiarato venerdì.