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Il prezzo del petrolio è in calo, ma quello della benzina sale. Perché? L’esperto: il problema è nella diminuzione delle raffinazioni

Salvatore Carollo, esperto di trading energetico dice che il problema non è il livello della produzione di greggio che continua ad essere adeguata. Invece a valle della filiera emergono carenze nella raffinazione ed è questa che fa lievitare i prezzi alla pompa. Anche l’Italia non raffina abbastanza

Il prezzo del petrolio è in calo, ma quello della benzina sale. Perché? L’esperto: il problema è nella diminuzione delle raffinazioni

In questi ultimi giorni, nonostante le tensioni geopolitiche che solitamente fanno infiammare i prezzi del petrolio, si assiste invece a prezzi del greggio sotto controllo. Invece quando si va ai distributori di benzina a far rifornimento si trova la sorpresa di prezzi al rialzo. Come si spiega questa situazione? Prova a dare una risposta Salvatore Carollo, esperto di trading energetico, come riporta Milano Finanza. L’esperto individua, lungo la filiera della produzione dell’oro nero, una buona quantità di produzione a monte, ma poi una scarsità del porcesso di raffinazione a valle. “E’ come se avessimo una diga con un lago pieno d’acqua, ma senza una sufficiente capacità di trasporto dell’acqua per farla arrivare in città. Avremmo eccesso di acqua a monte e siccità a valle” dice Carollo.

Abbiamo guerre in Ucraina e in Medio Oriente. C’è appena stato un attacco Iraniano in Isreaele. Eppure il prezzo del greggio, dopo una fugace impennata di venerdì 12, sono tornati sotto la quota psicologica di 90 dollari al barile per il Brent.

La produzione di greggio soddisfa già la domanda mondiale

Carollo sgombra subito il tavolo dall’ipotesi di una crisi di offerta di petrolio inteso come materia prima a livello mondiale. La domanda mondiale di prodotti finiti del petrolio si aggira leggermente al di sopra di 100 milioni di barili/giorno. Per soddisfare questa domanda occorre produrre petrolio greggio al ritmo di almeno 100 milioni di barili/giorno. E questo, in qualche modo sta succedendo. Dunque c’è ampia disponibilità di petrolio greggio e non si può derivare l’aumento del prezzo della benzina da uno shortage di petrolio. Semmai è il contrario: l’alto prezzo dei prodotti spinge in alto quello del petrolio greggio.

Invece è carente la raffinazione. Le scorte di greggio sono altissime

Il punto è che la capacità di raffinazione mondiale, di trasformazione in prodotti finiti, si aggira fra 83 e 85 milioni di barili/giorno. Quindi mancano fra 15 e 17 milioni di barili/giorno rispetto alla domanda globale di prodotti. In particolare, i paesi Ocse hanno perso 2 milioni di barili/giorno di capacità nel corso degli ultimi cinque anni.

Il resto rimane allo stato di materia grezza nelle scorte sparse in giro per il mondo. Le scorte galleggianti o viaggianti su navi petroliere sono altissime. Le scorte commerciali mondiali di benzina presso i sistemi di raffinazione sono ai minimi livelli degli ultimi 10 anni e non c’è nessuna prospettiva che possano essere ricostituite in tempi utili per la campagna estiva.

La raffinazione è in una crisi profonda, dice Carollo. Non si registrano più investimenti significativi, a parte la manutenzione minima degli impianti esistenti, per garantire l’adeguamento alle nuove richieste di qualità dei mercati più redditizi. Disporre di capacità di raffinazione per trasformare il petrolio greggio in prodotti finiti che servono al proprio mercato nazionale è una scelta strategica ed economica di ogni singolo paese, non dei paesi produttori.

In Italia sono scomparsi 13,5 milioni di tonnellate di capacità di raffinazione

L’Italia è stata per decenni il principale paese raffinatore d’Europa ed esportatore di benzina e gasolio verso i mercati redditizi del Nord Europa e del Nord America. Era uno dei quattro hub petroliferi del mondo, insieme a Rotterdam, Houston e Singapore. Eravamo decisivi nel determinare il prezzo dei prodotti petroliferi e potevamo garantirci i rifornimenti al più basso prezzo possibile.

La situazione contingente, che garantisce margini di raffinazione altissimi a causa della mancanza di prodotti sui mercati mondiali, allontana nel tempo il momento della chiusura di molti degli impianti esistenti. Eppure, come se non bastasse, si procede a ridurre la capacità esistente in modo surrettizio, chiamando la chiusura in modo diverso, dice Carollo: come una trasformazione in bio-raffineria.

In realtà, si fermano tutti gli impianti di una raffineria, lasciando operativi solo uno o due impianti minori per processare delle biomasse. Questa cosiddetta trasformazione ha finora comportato la scomparsa di 15 milioni di tonnellate di capacità di raffinazione a fronte degli 1,5 milioni di tonnellate di bio-raffineria rimasti, con una riduzione netta di 13,5 milioni di tonnellate, perse per sempre, conclude Carollo secondo quanto riportato da MF.

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