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Il potere in una prospettiva riformista: il nuovo libro dell’economista Alessandro Roncaglia

i molti aspetti del neoliberismo Pixabay

Il libro dell’economista e accademico dei Lincei Alessandro Roncaglia “Il potere. Una prospettiva riformista”, edito da Laterza, è un libro complesso, come l’argomento di cui tratta. Se dovessimo calcolare la frequenza delle parole usate, “complessità” sarebbe probabilmente il risultato principale.

Vi è, proprio per questo aspetto, un alto livello di interdisciplinarità nei temi e negli approcci trattati, che fanno di questo libro quasi una piccola “enciclopedia del sapere”, densa di riferimenti bibliografici, di illustrazioni con esempi tratti dalla storia, ma molti anche dall’attualità. Siamo trascinati in un mare di problemi, interrogativi e cautele, però con una bussola sicura che orienta la direzione, quella appunto indicata nel sottotitolo “una prospettiva riformista”. Un discorso a parte richiederebbe l’imponente apparato di note, quasi un libro parallelo, denso di notizie, precisazioni e integrazioni del testo principale. Come si dice una vera miniera di fatti e di idee.

Il rapporto tra neo-liberismo e potere

Nel mio commento, necessariamente limitato e breve, comincerò da un punto che compare anche nella parte iniziale del libro, ma che è affrontato più compiutamente nei capitoli finali, vale a dire il rapporto tra neo-liberismo e potere. Qui appare quello che potrebbe sembrare un paradosso; il pensiero liberale nelle sue varie forme si presenta come una difesa dell’individuo contro qualunque potere che limiti le sue possibilità di scelta e di agire e come una dimostrazione della capacità del mercato di autoregolarsi in maniera ottimale.

La massima del neo-liberismo, riassume bene Roncaglia, è che “la presenza dello Stato nell’economia, considerata sia inefficiente sia una violazione delle libertà individuali, va quindi ridotta al minimo”.
Ora la trattazione del libro mostra come il potere dello Stato sia uno dei molteplici aspetti in cui il potere si esercita nella società, per cui l’eliminazione dello Stato non è affatto garanzia della limitazione del potere sugli individui.

Quando il neo-liberismo senza regole rafforza altre forme di potere: un pericolo per la società

Ma il punto su cui voglio soffermarmi è quello del ruolo del neo-liberismo nel rafforzare il peso di altre forme di potere, che sono certamente un danno e un pericolo per la società. In un paragrafo Roncaglia ne richiama alcuni. Le misure di liberalizzazione finanziaria sostenute dal neo-liberismo e adottate in tutti i principali paesi hanno favorito la finanziarizzazione dell’economia e globalizzazione finanziaria con effetti negativi: a) sulla stabilità dell’economia (vedi crisi finanziaria del 2007-2008 e successive crisi dell’euro); b) sulla sostenibilità dei sistemi nazionali di tassazione, favorendo l’elusione e distorcendo la progressività dell’imposizione fiscale, c) sulle regolamentazioni ambientali e sanitarie o di sicurezza sul lavoro; d) sugli spazi disponibili per il welfare state; e) sulle politiche ambientali.

Quindi in termini di quella ampia e complessa definizione di potere più volte richiamata nel libro, il neo-liberismo non solo non ha mantenuto le promesse di dare maggior libertà agli individui e non interferendo nel loro agire, ma in alcuni casi e in alcuni ambiti ha creato delle nuove sacche di potere con effetti distorsivi proprio sul funzionamento dei mercati, che il neo-liberismo dichiara di difendere. Il potere consolidato delle grandi imprese non viene intaccato, la spinta ai monopoli non viene frenata, l’immunità fiscale viene favorita a vantaggio di chi sa approfittarne, ai maggiori responsabili del disastro ambientale viene data “libertà” di inquinare.

Le “correzioni di tiro” nel pensiero economico

Il secondo aspetto su cui vorrei soffermarmi riguarda alcune “correzioni di tiro” che Roncaglia ci offre nell’interpretazione di alcuni grandi classici del pensiero economico. La prima riguarda Adam Smith, la cui la rilevanza sta nella discussione offerta sulle diverse motivazioni dell’azione umana, in cui ha dato un contributo importante nell’evidenziare il nesso tra perseguimento di interesse individuale e regole morali, quelle che nella visione di Smith- diversamente dai precetti del neo-liberismo- sono necessarie per il buon funzionamento della vita comune in società.

Il presupposto – vitale per il funzionamento di un’economia di mercato – è quello di una società fondata sull’accettazione generale del principio morale della simpatia e dotata delle istituzioni amministrative e giuridiche necessarie per affrontare i casi in cui la moralità comune viene violata. Il fondatore del pensiero liberale è colui ha messo in evidenza la complessità dell’agire umano, non la sua semplificazione nell’idea che il perseguimento dell’interesse individuale sia il motivo principale dell’azione, che invece va temperata dall’idea della convivenza sociale.

La seconda riguarda Hayek, che si oppose all’idea che sia possibile e opportuno costruire dall’alto le istituzioni sociali, secondo precetti di una ragione impersonale e obiettiva, perché questa avrebbe un potenziale di sviluppo nella direzione dell’autoritarismo, che è per definizione il massimo coagulato del potere. Questo libro – attraverso le proposte di una strategia di riforme di struttura- si pone l’obiettivo di dimostrare esattamente il contrario, che è solo attraverso interventi mirati, magari parziali e circoscritti, ma rivolti a limitare le imperfezioni del funzionamento del mercato, si possono ridurre le disuguaglianze generate in assenza meccanismi di correzione della spontaneità del mercato.

Un’utopia ragionevole quella proposta da Roncaglia, perché consapevole dell’impossibilità di eliminare completamente il potere e le disuguaglianze che ne derivano; in buona compagnia, oltre che di A. Smith, di J. M. Keynes, che sosteneva che la ragione – motivata dalle passioni oltre che degli interessi – è la guida per orientare l’azione umana verso obiettivi sociali più accettabili. Infatti, la terza “correzione di tiro” riguarda l’interpretazione di Keynes come teorico dell’azione ragionevole, sulla base dell’informazione e della conoscenza, che può contrastare i mali dell’agire umano non governato da regole. Fiducia in una regolazione del mercato, non nella sua sostituzione con un dominante ruolo dello Stato.

Il comportamento di consumatori, imprenditori o speculatori in un contesto d’incertezza per Keynes non può essere ricondotto alla scelta razionale ottimizzante della tradizione utilitarista. Ogni decisione economica richiede la valutazione dell’informazione; questa è spesso contraddittoria o per lo meno non univoca e spesso insufficiente a farci prevedere il futuro. Quindi la dobbiamo pesare con le nostre conoscenze e con la nostra esperienza.

La decisione in condizioni d’incertezza non deve però essere interpretata come rinuncia alla possibilità di scelta secondo ragione, anche se non “razionale” nel senso della teoria tradizionale. E’ una ragionevolezza che tiene conto della complessità delle conseguenze e delle implicazioni dell’azione sul complesso delle situazioni. Il riformismo di Keynes, come quello di Roncaglia, si basa sulla fiducia dell’azione riformatrice non nel miraggio utopico di un futuro lontano, in cui tutto trova soluzione, ma in un progetto ancorato saldamente al possibile e al realizzabile non nel lungo periodo ma in un orizzonte vicino.

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