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Il PNRR può cambiare l’Italia ma va coinvolto il Mezzogiorno

Imagoeconomica

Nel quadro che determinerà la successione al Quirinale è necessario tener viva l’attenzione e la riflessione sui problemi del Paese che in ogni caso debbono essere presto affrontati con l’organizzazione e la messa in campo soprattutto degli specifici interventi previsti dal Pnrr. Questi sono numerosi, tutti di grande rilevanza e di complessa e lunga attuazione, e da essi dipende l’avvio di un profondo cambiamento dell’assetto economico e sociale del Paese per diversi aspetti: energia, ambiente, digitalizzazione, infrastrutture, economia circolare, capitale umano, … . Il quadro comincia a delinearsi, ma il cammino rimane complicato e per molti aspetti non definito. Nel contesto di complessità della situazione si pongono, tra i tanti, due interrogativi di importanza primaria: si riuscirà a coinvolgere e a integrare strutturalmente il Mezzogiorno nel processo di rinnovamento del sistema economico e sociale nazionale che bisogna attivare? Quanto si è realmente convinti che dal raggiungimento di quest’obiettivo dipende in buona parte una positiva ricollocazione dell’intera economia italiana nel contesto europeo e in quello globale?

È difficile oggi rispondere a questi interrogativi e molto dipenderà da come si riuscirà a tradurre l’affollata lista di programmi di investimento prevista dal PNRR in una strategia-paese di coesione e sviluppo capace di aggredire i diversi problemi che si stanno manifestando a livello territoriale e che non riguardano solo il Mezzogiorno. Nell’attesa che ci siano elementi concreti per valutare e comprendere la capacità di risposta del cammino intrapreso rispetto agli obbiettivi appena indicati, qui ci si soffermerà su due aspetti da prendere in attenta considerazione.

A) Il primo si riferisce al cambiamento sostanziale verificatosi nel Paese per quanto attiene la situazione attuale in termini di disuguaglianze territoriali. A questo riguardo ci troviamo oggi in una situazione che porta a dire che la storica questione meridionale si è decisamente trasformata in una questione nazionale. Nel senso che l’approfondimento delle disuguaglianze territoriali e il peggioramento del livello di coesione economica e sociale riguarda anche altre parti del Paese e non più il solo Mezzogiorno. Tutto ciò è stato ben precisato dal Rapporto 2021 della Svimez che ha messo in luce la situazione critica di alcune regioni del Centro Italia, parlando della costituzione in quell’area di un “secondo Mezzogiorno” e sottolineando che questa situazione si è coniugata strettamente col progressivo declino e distacco dall’Europa registrato per l’intera economia italiana nel corso del primo ventennio di questo secolo. In termini di pil pro-capite, infatti, nel 1995 il Paese era al 126% rispetto alla media EU-28 ed è arrivato al 95% nel 2019. Un peggioramento generalizzato che, tra l’altro, ha colpito anche aree forti come, ad es. la Lombardia passata dal 14° al 36°posto in EU28, l’Emilia dal 20° al 46°, il Piemonte dal 35° all’ 85°. 

Come non ricordare il grido di allarme che, riprendendo questi dati, lanciò Giorgio La Malfa nel dicembre 2021 sul Mattino sostenendo che, di conseguenza, “il destino nazionale e quello del Mezzogiorno sono indissolubilmente legati fra loro e non c’è salvezza per l’uno senza l’altro”. Il punto oggi è esattamente questo. Ma al riguardo c’è un nodo da sciogliere rispetto al quale non si intravvede alcun segnale. Di fronte alla grande disponibilità di risorse da impegnare nel Mezzogiorno, come si pensa, nella fase della loro gestione, di superare l’attuale non risolta contrapposizione tra approccio centralizzato, da un lato, e potere di decisione e gestione affidato ai singoli territori, dall’altro? Ad oggi si sente la totale mancanza di un progetto nazionale di visione di sviluppo capace di definire, guidare e controllare l’attuazione degli investimenti da realizzare nelle diverse realtà territoriali per rispondere alle esigenze espresse dalle condizioni di vita delle rispettive società civili. 

B) Il secondo aspetto sul quale ci si vuole soffermare, riguarda il moltiplicarsi e il progressivo intensificarsi, negli ultimi anni, dei dibattiti e delle analisi politico-economico-sociali relative alla specifica situazione del Mezzogiorno, pienamente inserita, però, nella dimensione nazionale ed europea. Una riflessione che, dopo quasi un decennio di sostanziale silenzio sul Mezzogiorno, riprende con numerosa partecipazione (soprattutto di giovani) e rende definitiva l’uscita dall’ottica che ha caratterizzato il pensiero meridionalista degli anni passati. Nel senso che il tema della coesione viene affrontato nella dimensione della interdipendenza globale che oggi hanno assunto i problemi dello sviluppo dell’economia e della società nazionale.

Il Mezzogiorno, l’analisi di Svimez e Bankitalia

Questo è avvenuto in particolare nel periodo che va dal 2018 ad oggi. Al riguardo viene da pensare (sicuramente con qualche dimenticanza) ai volumi di Emanuele Felice (Perché il Sud è rimasto indietro), di Alfredo Del Monte (Il Mezzogiorno d’Italia e il Sud degli Stati Uniti), di Antonio Accetturo e Guido De Blasio (Morire di aiuti. I fallimenti delle politiche per il Sud -e come evitarli-); al lavoro di Astrid coordinato da Giuseppe Coco e Claudio De Vincenti (Una Questione Nazionale. Il Mezzogiorno da problema a opportunità); agli Ultimi Rapporti Svimez dal 2019 al 2021 (L’economia e la società del Mezzogiorno); ai dibattiti promossi dalla stessa Svimez e a quelli numerosi della fondazione Merita; alle analisi e documentazioni prodotte di SRM (Studi e Ricerche per il Mezzogiorno); al volume di Gianfranco Viesti (Centri e periferie); al volume curato da Luca Bianchi e Beniamino Caravita (Il PNRR alla prova del Sud). Un consistente materiale di riflessione cui si sono aggiunti, concentrati in poche settimane di fine 2021, tre eventi (due convegni e un volume di carattere politico-culturale) sui quali si vuole richiamare l’attenzione. 

Il primo dei due convegni, supportato dalla Svimez, si intitola Politiche regionali, istituzioni e coesione nel Mezzogiorno dal dopoguerra ad oggi. Si tratta di un Prin (Progetto di rilevante interesse nazionale) coordinato dalla Prof.ssa Flavia Martinelli che coinvolge parte rilevante del sistema universitario meridionale (le Università di Reggio Calabria, Bari, Catania e Napoli – Federico II). Un progetto che ha impegnato oltre 40 ricercatori, per lo più giovani, in un’articolata analisi settoriale dei paradigmi di politica economica e sociale messi in atto nella fase dell’intervento straordinario (il periodo keynesiano-fordista degli anni 1945-90) e in quella dell’avvio della politica europea di coesione (il periodo neo-liberista, dagli anni ‘90).

Svimez, i risultati sul territorio

L’analisi ha riguardato i protagonisti di quelle politiche, le parti dell’economia e della società favorite, l’azione di intermediazione delle borghesie di stato, i riflessi sull’assetto degli insediamenti e sui processi di urbanizzazione, i problemi inerenti la struttura squilibrata dell’industria, il ruolo svolto dall’industria a partecipazione statale, quello del turismo, delle aree interne. Nel complesso, un’analisi tematicamente articolata, calata sul territorio e unificata nel riconoscimento dei fattori che, a differenza del passato, determinano oggi la persistenza e l’aggravamento del divario che colpisce il Mezzogiorno:

  • I mutamenti nel contesto macroeconomico relativi alla nuova competizione globale e al rallentamento della crescita dei paesi maturi.
  • La debolezza della struttura produttive e l’insufficiente dotazione di infrastrutture delle diverse aree meridionali.
  • La pesante architettura della politica di coesione che ha finito per dare all’Unione e allo Stato centrale la funzione di mera erogazione di risorse.
  • L’annullamento dl ruolo redistributivo dello Stato che ha consentito alle classi dirigenti una gestione particolaristica e clientelare della spesa pubblica come strumento di canalizzazione del consenso.

Bankitalia, il gap economico e le imprese

L’altro convegno è stato promosso dalla Banca d’Italia e si è svolto presso il Centro Rossi-Doria dell’Università Roma Tre, con il titolo: Il Mezzogiorno nell’analisi della Banca d’Italia: i divari territoriali, il cambiamento strutturale, le imprese. Oltre 30 lavori di ricerca e 4 filoni di analisi concentrati sull’ultimo decennio: 

  • La struttura economica e le imprese.
  • Il mercato del lavoro.
  • Il sistema finanziario.
  • Il ruolo del settore pubblico e i fattori di contesto.

Anche il punto di partenza di quest’imponente lavoro di analisi è nel riconoscimento che “la questione meridionale è diventata nel tempo parte di una più ampia questione nazionale”. Le considerazioni generali e riassuntive del dottor Roberto Torrini del Servizio Struttura economica della BdI, mettono in evidenza, infatti, che i problemi strutturali di cui soffre il Mezzogiorno sono gli stessi, ma in misura ben più intensa, di quelli che rendono l’Italia “un paese avanzato anomalo”. Le analisi riguardano la frammentazione del tessuto produttivo, la debolezza del sistema infrastrutturale (in particolare: carenza di comunicazioni ferroviarie, tenuta del servizio elettrico, smaltimento dei rifiuti); scarsa diffusione della digitalizzazione; basso livello di qualità dell’occupazione; prospettive demografiche drammatiche che prevedono una riduzione straordinaria della popolazione giovanile già nel corso del prossimo ventennio (quasi il 35% in meno della classe di giovani tra 18-20 anni). Ad aggravare la situazione viene, infine indicato il funzionamento del sistema pubblico che, nel Mezzogiorno in particolare, è caratterizzato da un regionalismo incapace di utilizzare le scarse risorse ai fini dello sviluppo e per molti aspetti pesantemente inquinato.

Non sono novità tutte queste. Ma ha un grande significato l’impegno che nella fase attuale del Paese mette un’istituzione come Banca d’Italia per costruire il quadro compiuto della situazione del Mezzogiorno e per indicare i punti sui quali bisogna agire.

Una nuova fase dell’unità nazionale

Il terzo evento che qui si vuole segnalare riguarda la pubblicazione a novembre scorso di un volume di due noti studiosi italiani che con taglio politico-culturale raccontano di un loro viaggio nel Mezzogiorno di oggi: Una Profezia per l’Italia. Ritorno al Sud di Ernesto Galli della Loggia e Aldo Schiavone. Un libro molto bello, pieno di suggestioni culturali, politiche e storiche e che meriterebbe molto spazio per essere compiutamente recensito. Anche Galli della Loggia e Schiavone sentono la necessità di rompere il silenzio che c’è stato sul Mezzogiorno e che a loro avviso si registra dall’inizio del nuovo secolo. Anche per loro “Oggi non si tratta di trovare le vie per integrare il Meridione nel resto della Penisola, … . Si tratta di rifare per intero il Paese …”… “L’Italia va ripensata e in certo senso ricostruita in relazione all’Europa”. I due ritornano a Napoli, in Calabria, a Bari, a Matera, in Sicilia, in Sardegna. Colgono i problemi ma anche le nuove pulsioni che crescono in questi luoghi incontrando personaggi vari, più o meno noti, professori, politici, sindaci, imprenditori. Arrivano, infine a profetizzare “l’apertura della stagione di una nuova fase dell’unità nazionale, il cui obiettivo sia il reale ricongiungimento del Paese, la sua ricollocazione strategica nello scacchiere geopolitico e la costruzione effettiva di un’unica cittadinanza per tutti gli italiani. … Sapendo che l’Italia conta in Europa solo se conta il mediterraneo”

Per concludere. Dopo anni di silenzio, si è sicuramente aperta una fase che evidenzia, attraverso il moltiplicarsi di interventi e di analisi di carattere socio-politico-economico, una nuova attenzione al divario che ha storicamente interessato il Mezzogiorno del Paese. Con un approccio analitico libero dalla gabbia concettuale costruita dal meridionalismo classico e pienamente inserito nella dimensione di interdipendenza globale che caratterizza lo sviluppo economico contemporaneo. Sono coinvolti in questo processo di rinnovamento sedi universitarie, professori, giovani ricercatori di diverse discipline, importanti istituzioni pubbliche. Insieme mettono i tasselli per costruire un quadro compiuto del passato, per individuare le linee da percorrere, errori da evitare, ostacoli da superare. Un prezioso patrimonio di conoscenza. Un segnale che dice che ci sono forze e intelligenze che possono aiutare a riorganizzare l’intero Paese. 

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