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Il peperone quadrato di Costigliole da cui è nata l’ecogastronomia è Presidio Slow Food

Fondazione Slow Food

Le prime fonti scritte sulla sua coltivazione nella piana alluvionale del fiume Tanaro risalgono al 1914, quando un concorso della Società Orticola Astigiana fece emergere che diversi orticoltori di Costigliole d’Asti e di alcuni comuni vicini lo producevano. Il peperone quadrato, qualità coltivata da oltre un secolo nei terreni a sud della città di Asti, nella piana alluvionale del fiume Tanaro, in particolare negli orti della Motta (una frazione del comune di Costigliole d’Asti) era una delle più pregiate. Alla caratteristica forma quadrangolare della bacca gialla o rossa, si accompagnavano generose dimensioni, polpa spessa e carnosa, gusto intenso ma dolce e delicato, dato dall’elevato contenuto zuccherino che lo rendeva tanto prelibato quanto velocemente deperibile.
L’orticoltura in queste zone è una pratica antichissima. Nell’XI secolo l’area lungo il Tanaro si chiamava vivarium, con un chiaro riferimento alla coltivazione di verdure. Ma tutto ciò non basta a salvaguardare nel tempo alcuni prodotti di quel grande patrimonio di biodiversità sul quale poggia lo stivale italico.

Vero è che in cento anni il peperone quadrato di Costigliole d’Asti incontrò grande successo commerciale arrivando a essere prodotto fino ad arrivare ai 40-50 mila quintali degli anni ‘60 e ‘70, quando la zona della Motta era orgogliosamente soprannominata “piccola California”. Poi il declino, con gli orti rigogliosi sostituiti da altre culture prima dai fiori e poi dalle nocciole. Il famoso quadrato di Motta diventa rarissimo e poi introvabile, anche se rimane viva la tradizione della sagra del peperone di Motta, che si tiene ogni anno l’ultima settimana di luglio.
Intinto crudo nell’olio, farcito, conservato sotto raspa, oppure arrostito e poi cosparso di bagna cauda il peperone quadrato della Motta si è guadagnato un ruolo da protagonista nella tradizione culinaria piemontese ma 13 anni fa si era perso quasi del tutto il seme.

Carlo Petrini, presidente Slow Food, nel libro “Buono, pulito e giusto” ricorda una sua esperienza che risale al 1996: “I peperoni quadrati d’Asti, una varietà carnosa, profumata e gustosa, non erano quasi più prodotti nella zona. […] Incontrai un contadino, mi confermò che appunto là, fino a pochi anni prima, si coltivavano quei magnifici ortaggi. Ma ora non più e mi disse in dialetto: «Non conviene, gli olandesi costano meno e nessuno ce li compra più, i nostri! Danno lavoro ed è tutta fatica buttata al vento!». […] Per me quel giorno – afferma Petrini – fu la data d’inizio ufficiale dell’ecogastronomia: la materia prima dev’essere coltivata e prodotta in maniera sostenibile, la biodiversità e le tradizioni alimentari e produttive locali vanno salvaguardate a tutti i costi”.

Ma finalmente è arrivato il giorno del riscatto e oggi Il peperone quadrato della Motta di Costigliole d’Asti è diventato Presidio Slow Food.

Chi ha sempre creduto nell’importanza di mantenere in vita le coltivazioni di questo straordinario peperone sono stati storicamente Guido e Lidia Alciati, dello storico ristorante Da Guido, di cui quest’anno ricorrono i 60 anni dalla nascita.

A scovare i migliori prodotti per Lidia era il marito come ricorda oggi il figlio Ugo che ha ereditato il timone del ristorante: «Fin dai primi anni ‘60, quando il ristorante ha aperto, mio papà andava in giro per le campagne dell’astigiano con l’intento di convincere i piccoli produttori della zona a non abbandonare la coltivazione di varietà locali rare e di qualità. Alcune, dopo gli anni dell’oblio ce l’hanno fatta e hanno segnato una svolta per il loro territorio, come il cardo gobbo di Nizza Monferrato, oggi Presidio Slow Food. Il peperone quadrato si è un po’ perso per strada”

Ed è proprio un giovane contadino, già protagonista di un Presidio Slow Food piemontese, il carciofo astigiano del Sorì, che si è lasciato ispirare da questo brano, battezzando la sua azienda agricola Duipuvrun. «Avevo letto il libro di Carlo e mi aveva colpito questa storia, inoltre avevo un ricordo d’infanzia, di quando andavo con i nonni al mercato a comprare i peperoni». E così, fin dal 2015, Stefano Scavino, oggi trentatreenne, decide di investire una parte del suo ettaro, coltivato con metodo biointensivo, su questa varietà, ma i semi della cultivar tradizionale non sono così facili da identificare. L’unica soluzione diventa rivolgersi alla Banca del Germoplasma dell’Università di Agraria a Grugliasco: «Mi diedero una piccola quantità di semi che cominciai a coltivare. Nel 2017 ho partecipato a un bando dell’Unione europea che sosteneva la valorizzazione degli ecotipi locali, insieme al Cnr, all’Università di Agraria e all’Agrion di Manta, presentando sia il carciofo che il peperone. Per due anni, grazie al loro apporto scientifico e agronomico abbiamo selezionato le piante in campo per migliorare la resa e la resistenza alle malattie» continua Stefano. Oggi i semi di peperone frutto del lavoro di selezione in campo nell’orto dell’azienda Duipuvrun sono stati messi a disposizione del vivaio Casto che ha prodotto i piantini per l’anno in corso e dell’azienda di Giorgio Austa che ha aderito al progetto.

«Se dovessi esprimere un auspicio, vorrei che l’istituzione del Presidio fosse un messaggio diretto ai giovani, affinché capiscano che si può avere un ruolo in questo mondo anche facendo il contadino e utilizzando metodi agroecologici». Inoltre, racconta Stefano, fare squadra consente di investire in ricerca agronomica, di avere quantitativi di prodotto più elevati e di aumentare i margini di profitto: «È importante che il peperone del Presidio ricominci a essere utilizzato dai ristoratori e bottegai della zona, che sono i primi ambasciatori, ma è pur vero che se la produzione aumenta si possono conquistare altri mercati: un mio cliente di Londra che acquista il carciofo del Sorì aspetta già da un po’ il peperone quadrato della Motta, spero quest’anno di riuscire a spedirgli il primo lotto».

 «Oggi, dopo 25 anni, dichiara Carlo Petrini, sapere che il peperone quadrato della Motta rientra a pieno titolo tra i Presìdi Slow Food, è per me motivo di grande orgoglio e appagamento. Il fatto che proprio questo ortaggio, che ho portato nel mondo come simbolo dei paradossi dell’agroindustria, torni a rappresentare valori buoni, puliti e giusti e in piena armonia con tradizioni alimentari e produttive, significa che nessuno sforzo è stato vano, e che la strada segnata da Slow Food in questi anni è quella giusta da perseguire, anche per le nuove generazioni di contadini disposti a impegnarsi in un’agricoltura più pulita e sostenibile»

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