Condividi

Il Pd al bivio Quirinale: puntare su Prodi o aprirsi a una maggioranza più ampia per D’Alema e Amato

Bersani è al bivio per la scelta del futuro Capo dello Stato: puntare tutto su Prodi (che potrebbe avere l’appoggio di Monti e di Grillo) per andare subito dopo a nuove elezioni con il Porcellum o accettare i voti del Pdl per una maggioranza più ampia a favore di D’Alema o di Amato al Quirinale? Il futuro della legislatura passa anche da qui.

Il Pd al bivio Quirinale: puntare su Prodi o aprirsi a una maggioranza più ampia per D’Alema e Amato

Il prossimo capo dello Stato sarà espressione di una semplice maggioranza di centrosinistra o di una maggioranza più larga che comprenda anche il Pdl e il nuovo presidente si impegnerà a rimandare gli italiani a votare entro giugno con il Porcellum o solo dopo aver archiviato l’assurda legge elettorale che c’è oggi? Attorno a questi nodi che hanno un fortissimo spessore politico e che condizionano i futuri assetti di Palazzo Chigi e del Quirinale si giocherà la partita che apre la legislatura e che è destinata a pesare sulle sorti della politica italiani per i prossimi anni.

La prima mossa spetta al Pd e l’obiettivo del segretario Bersani è ormai chiarissimo: indurre Giorgio Napolitano a conferirgli l’incarico di formare un governo, anche se di minoranza per la riluttanza di Grillo a sostenere un governo purchessia, e poi eleggere a maggioranza semplice il futuro inquilino del Quirinale a patto che questi si impegni a sciogliere le Camere il più rapidamente possibile e cioè entro la fine di giugno mantenendo di fatto il Porcellum. L’idea del segretario del Pd è di insediarsi a Palazzo Chigi al posto di Monti per gestire da lì la campagna elettorale e raccogliere i voti del Pd, di Scelta Civica e, verosimilmente, di MS5 per mandare l’ex premier Romano Prodi al Quirinale.

Sulla carta il piano di Bersani ha qualche probabilità di andare in porto ma sul suo cammino ci sono tre incognite: 1) la risposta di Napolitano; 2) la tenuta del Pd; 3) la controffensiva del Pdl.

Malgrado il tempo che gli rimane per restare al Quirinale, da cui uscirà il 15 maggio ma non avendo più poteri effettivi già dal 15 aprile, non è detto che Napolitano si rassegni a dare a Bersani il mandato di formare un governo inevitabilmente di minoranza e tanto instabile quanto palesemente pre-elettorale senza tentare una soluzione più solida o almeno meno fragile come sarebbe quella di un governo di scopo o del Presidente che possa cercare voti in ogni angolo del Parlamento e non solo nel movimento di Grillo. Se così fosse la rosa dei papabili si allargherebbe: il nome più istituzionale sarebbe quello del ministro dell’Interno Cancellieri ma quello politicamente più pregnante sarebbe quello del sindaco di Firenze Matteo Renzi, ammesso e non concesso che quest’ultimo sia pronto a scendere in campo subito, anche a costo di una dura battaglia in casa Pd. Ma i treni, si sa, passano una volta sola.

La seconda incognita sulla strada di Bersani è la coesione del Pd, al cui interno crescono ogni giorno di più le perplessità di chi non vorrebbe impiccarsi sull’albero di Bersani e non è affatto convinto che tornare alle elezioni subito senza aver nemmeno provato a mettere in piedi un governo più largo e senza aver cambiato il Porcellum finisca per premiare davvero lo stesso Pd. La pensano così sia i maggiorenti dell’ex Margherita come Enrico Letta, Fioroni, Gentiloni sia Tabacci che gli ex segretari D’Alema e Veltroni.

Infine c’è da mettere nel conto la controffensiva del Pdl, che oggi si sente umiliato dalle decisioni della magistratura e dalla pioggia di condanne che sta per arrivare sul capo di Silvio Berlusconi e comincia a comprendere che la remuntada elettorale non cancella il pericolo di isolamento politico. Ecco perché Berlusconi e il Pdl vedono come il fumo negli occhi la candidatura di Romano Prodi al Quirinale e sperano di poter concorrere alla scelta del futuro Presidente con un nome votabile anche dal centrodestra benchè espressione della sinistra. I candidati di pacificazione sono sostanzialmente due: Massimo D’Alema e Giuliano Amato. Se la sentirebbe il Pd di non votarli solo perché questi due autorevolissimi candidati ed ex premier possono raccogliere anche i consensi del Pdl? O anche perché sia D’Alema che Amato non rinuncerebbero ad aprire la strada a un governo che cancelli la vergogna del Porcellum prima di sciogliere di nuovo le Camere? Su questo interrogativo si snoderà la battaglia politica dei prossimi giorni per il Colle ma anche per Palazzo Chigi.

Commenta