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Il pane di Monte Sant’Angelo: forma gigante, lenta cottura e grani autoctoni, testimonianza di biodiversità

Credits Oliviero Migliore

Negli ultimi settant’anni, la popolazione si è dimezzata e, soltanto tra 2017 e 2022, ad andarsene sono stati in duemila. Il centro abitato di Monte Sant’Angelo a circa 800 metri di altitudine, sulle prime pendici del Gargano, al 15° posto della classifica dei comuni pugliesi per superficie, ma tra gli ultimi per densità di popolazione è la preoccupante fotografia di un processo inarrestabile, l’abbandono delle montagne, un fenomeno che non conosce limiti di latitudini in tutta Italia. Finita l’epoca in cui la montagna offriva un sicuro rifugio dalle devastazioni di incursioni barbariche, o in tempi di guerra, dai passaggi di eserciti nemici, oggi si fugge dalla vita dura della montagna per la mancanza di servizi, per i costi di vita insostenibili a fronte della poca redditività del lavoro, per cercare miglior fortuna e comodità nelle città a valle. E con l’abbandono delle terre alte diminuisce la biodiversità, si perdono tradizioni secolari, vengono meno le piccole comunità con i loro antichi saperi, lasciando spazio all’avanzamento di boschi che rendono improduttivi i terreni. Infine, ma non da ultimo, aumentano i rischi di disastri idrogeologici.

Ma fra chi rimane a Monte Sant’Angelo, però, c’è chi continua a difendere orgogliosamente e caparbiamente le proprie tradizioni, una produzione alimentare che è una vera e propria cultura: quella del pane, ancora oggi cotto in forni che rimangono accesi sempre, tutto l’anno, tranne il giorno di Natale e il primo di gennaio.

Una cottura di oltre due ore per un pane che si mantiene a lungo, il segreto: grane tenero locale e lunga lavorazione

E che pane, perché quello di Monte Sant’Angelo, è per tradizione di grande pezzatura, richiede una cottura di grande esperienza e si mantiene a lungo. Anticamente le pagnotte venivano agganciate e appese fuori dalle botteghe: forme molto grandi, del peso di 5 o 6 chili, e dal diametro di 70-80 centimetri. Gli ingredienti per la sua preparazione sono la farina di grano tenero Tipo”0″, l’acqua, il sale e il lievito naturale (in dialetto locale lu crescente). La farina viene mescolata al lievito naturale e poi stemperata in acqua con l’aggiunta di sale. L’impasto così ottenuto viene lasciato lievitare e dopo ciò viene modellato per ottenere la pagnotta di pane. Fatto questo si lascia a riposo la forma di pane in cassoni di legno prima metterla in forno, alla temperatura di 200° per almeno 2 ore (il metodo di cottura tradizionale vuole che il pane sia cotto in forni a legna). Un’altra variante di pane prevede l’inserimento nell’impasto di patate lesse per renderlo più morbido.

Nel paese che si va spopolando i forni restano accesi tutto l’anno per salvaguardare una preziosa tradizione locale

Fortunatamente ora il Pane di Monte Sant’Angelo è entrato a far parte dei Presidi Slow Food e questo equivale a una garanzia per la salvaguardia di un prodotto unico nel suo genere non solo per il sapore ma per la eredità culturale del territorio.

«Ogni pagnotta richiede tra le quattro e le cinque ore perché sia pronta» spiega Domenico Notarangelo, referente dei produttori che aderiscono al Presidio, senza considerare i tempi di preparazione del lievito madre, che viene lavorato almeno dodici ore prima dell’impasto vero e proprio. «Cominciamo all’una e mezza di notte e inforniamo più di tre ore dopo, lasciando cuocere per una novantina di minuti con una tecnica detta “calante”, cioè con la temperatura via via più bassa – prosegue il produttore –. Io uso un forno a legna che ha più di cinquant’anni, ma oltre al tipo di cottura la differenza la fanno le condizioni climatiche, la temperatura e l’umidità: anche solo a cinque chilometri da Monte Sant’Angelo, lo stesso panificatore, con gli stessi ingredienti e lo stesso forno, non riuscirebbe a fare lo stesso pane».

Il pane di Monte Sant’Angelo ha due particolarità: la prima riguarda le sue dimensioni e il suo peso, che può arrivare addirittura a cinque chili. La seconda è la materia prima: è una pagnotta di farina di grano tenero, quasi un unicum in una regione dove il grano duro la fa da padrone. «In alcune aree montane come il Gargano ci sono nicchie in cui la coltivazione di quello tenero ha una lunga tradizione» spiega Felice Suma, agronomo e membro della task force Presìdi in Puglia. «Nei decenni, complice l’abbandono di queste aree, il numero dei coltivatori è però diminuito, al punto da convincere molti panificatori a scegliere farine di grano tenero d’importazione, italiane ed estere. Il Presidio ha l’obiettivo di unire coltivatori e produttori affinché si torni a coltivare le varietà antiche di grano tenero come la risciola e il frassineto e a usarle per il pane di Monte Sant’Angelo».

«La Comunità Slow Food del Presidio coinvolge 12 fornai e due coltivatori di grani antichi – aggiunge Longo –. Alcuni panificatori, questa primavera, lamentavano di essere costretti ad aumentare il prezzo del pane per via della speculazione sul grano dovuta alla guerra in Ucraina. Approvvigionarsi da produttori locali e usare farine del territorio significa anche affrancarsi da tutto questo: se oggi le farine di grani antichi costano di più è perché, per decenni, abbiamo snobbato le nostre varietà autoctone. Ecco perché noi generiamo filiere corte, perché fanno del bene al territorio e all’economia. Se non è rigenerazione questa!».

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