“Ogni albero bruciato sarà sostituito e ricrescerà. Come ministro dell’Ambiente ho deciso di destinare 5 milioni di euro per il rimboschimento delle aree colpite dagli incendi”. Con questo impegno Gian Luca Galletti dichiara la sua “guerra” a chi sta distruggendo migliaia di ettari di boschi e terreni. “I piromani – afferma – devono andare in galera e restarci fino a 20 anni come prevede la legge sugli ecoreati”. Ma non è solo l’Italia che brucia a tenere in tensione l’agenda del ministro dell’Ambiente e della tutela del Territorio e del Mare. Proprio il mare è una grande risorsa per un Paese come l’Italia al centro del Mediterraneo ma è anche un “sorvegliato speciale” minacciato dalla tropicalizzazione e dal fenomeno in crescita delle microplastiche. Ne parliamo con il ministro che, in questa intervista a FIRSTonline, tocca temi delicati come quello delle piattaforme petrolifere off shore. E, pensando al possibile “ravvedimento” sul clima del presidente Usa Donald Trump dice: “Siamo in molti a credere che alla fine non potrà lasciare il suo Paese indietro. L’isolamento degli Usa sui temi ambientali è diventato evidente e rischia di allontanare investimenti e lavoro dagli Stati Uniti. L’opposto di ciò che Trump ha promesso agli americani”.
Ministro Galletti, proprio pochi giorni fa a Parigi Donald Trump ha lasciato intendere che forse qualche ripensamento sul clima è possibile: come valuta questa uscita a sorpresa del presidente Usa?
“Considero importante il segnale lanciato da Trump a Parigi. Siamo in molti a credete che il presidente-imprenditore non potrà alla fine lasciare il suo paese indietro, con l’economia che guarda al passato, al carbone, e tenerlo fuori dal business del futuro: la green economy. Peraltro, dopo il G7 e il G7 Ambiente di Bologna e il recente G20, l’isolamento degli USA sui temi ambientali è diventato evidente e rischia di allontanare investimenti e lavoro dagli Stati Uniti. Cioè esattamente l’opposto di ciò che Trump ha promesso agli americani”.
“Io penso, insomma, che si sia aperta una fase di transizione in cui tutto il mondo ad eccezione dell’amministrazione Trump ha confermato, anzi rafforzato, l’impegno per il clima attraverso l’attuazione dell’accordo di Parigi considerato irreversibile e non negoziabile. C’è anche un “motore” internazionale, europeo e cinese, che guida la battaglia sul clima. Credo e spero che alla lunga gli Stati Uniti rivedranno nella sostanza la loro scelta di tirarsi fuori dall’impegno sul global warming. Perché significherebbe tirarsi fuori dal futuro.
Clima e mare sono strettamente legati. E il mare è forse la principale attrattiva in questo periodo per i turisti, anche italiani, in vacanza in Italia. E’ ancora il più bello del mondo ma molti pericoli ne insidiano il primato: quali sono i fronti più urgenti sui quali intervenire?
“Il mare italiano è complessivamente in buone condizioni. La qualità dei litorali sta migliorando con il crescere della consapevolezza ambientale delle comunità e delle istituzioni. Esistono ovviamente ancora dei problemi, essenzialmente di due tipi: quelli legati all’inquinamento di origine umana, e quelli legati agli effetti dei cambiamenti climatici. Per quanto riguarda il surriscaldamento globale registriamo il fenomeno della cosiddetta “tropicalizzazione” del mediterraneo che comporta, con il salire della temperatura del mare l’ingresso e l’insediamento, soprattutto dall’area del Mar Rosso. Ovviamente il surriscaldamento del Mediterraneo si può arginare solo con misure globali ma bisogna tener conto che i nostro è un mare chiuso, con tempi lunghissimi di ricambio dell’acqua e che quindi va tutelato e protetto con maggiore attenzione e con iniziative coordinate fra tutti i paesi rivieraschi perché non ci sono frontiere nel mare.
C’è poi il tema della depurazione, per il quale siamo sotto infrazione da parte dell’UE e per il quale stiamo intervenendo con un piano di realizzazione e manutenzione degli impianti per evitare che all’effetto serra globale si sommino ulteriori fattori inquinanti”.
Altra questione: il marine litter, le immense isole di rifiuti prevalentemente in plastica che galleggiano sugli oceani e non risparmiano il Mediterraneo. Coinvolgere gli altri Paesi rivieraschi – parliamo di Francia ma anche di Libia, Algeria, Israele – ad adottare standard comuni non è semplice. Cosa può fare l’Italia?
“Il tema è per noi cruciale, per questo lo abbiamo posto al centro di una delle sessioni del G7 ambiente in giugno a Bologna. In quella sede abbiamo delineato una serie di azioni per affrontare il problema a livello internazionale. Mi riferisco in particolare alla armonizzazione di indicatori e metodologie per il monitoraggio del problema; lo sviluppo e l’attuazione di banche dati ampie e accessibili; la diffusione delle migliori pratiche per quanto riguarda la prevenzione e la gestione dei rifiuti provenienti da terra e mare e sulle azioni di rimozione; responsabilità estesa del produttore e promozione degli investimenti in infrastrutture di gestione dei rifiuti e delle acque, anche attraverso la cooperazione con il settore privato; riduzione progressiva delle plastiche monouso e delle microplastiche, compresi i microgranuli, per evitare la dispersione di materie plastiche nell’ambiente marino, anche attraverso la ricerca su loro sostituti”.
La legge del 2011 che doveva impedire l’uso di sacchetti di plastica da sostituire con sacchetti compostabili, quali risultati ha dato? Francamente, a parte la grande distribuzione che si è in parte adeguata alla normativa, nel commercio al dettaglio le buste in plastica sono ancora diffusissime. Come è possibile? Non ci sono controlli e sanzioni adeguate?
“Lo spirito di quella legge era di imprimere un cambiamento profondo nelle abitudini degli italiani e promuovere la nascita e lo sviluppo della chimica verde e, quindi, dei sacchetti a matrice vegetale. E questo obiettivo è stato in gran parte raggiunto. Certamente, specie nella piccola e piccolissima distribuzione ci sono ancora ampie zone grigie che vanno perseguite perché le plastiche degli shopper sono micidiali se disperse sul territorio e soprattutto in mare dove entrano nella catena alimentare dei pesci e, di conseguenza, in quella umana. Ma noi italiani siamo stati capofila in un mutamento culturale che oggi, dopo anni, ha coinvolto anche l’Europa. Abbiamo rischiato l’infrazione europea per la messa al bando degli shopper non biodegradabili e io ho sempre detto che se me l’avessero notificata l’avrei incorniciata e appesa in ufficio come un titolo di merito.
Ma la battaglia contro chi infrange la legge va fatta e la facciamo ogni giorno. Nell’autunno scorso i Noe hanno reso noti i risultati della loro campagna I Carabinieri per la Tutela dell’Ambiente hanno rilevato non conformità in 33 società operanti nel settore, presenti soprattutto nelle aree industriali del nord Italia, sequestrando oltre 89 tonnellate (82 solo nel settentrione) di shopper monouso difformi rispetto alla normativa europea o contraffatti. E questo è solo un esempio di ciò che si fa ogni giorno. Ovviamente l’impegno è fare sempre di più e sempre meglio anche per convincere gli italiani ad andare nei negozi con le vecchie care “borse della spesa” che non si buttano mai e vengono adoperate ogni giorno”.
Le piattaforme petrolifere: sono 136 nel mare italiano da Nord a Sud. Quali dati avete sull’impatto nel mare circostante? Lasciando da parte le polemiche sulle cosiddette trivelle, nell’Alto Adriatico dividiamo i giacimenti con la Croazia: ha senso bloccare i nostri impianti lasciando mano libera ai nostri vicini?
“In Italia abbiamo una legislazione sulle piattaforme petrolifere che è certamente la più restrittiva d’Europa e forse la più rigida e attenta all’ambiente del mondo. Per fortuna fino ad oggi, anche grazie alle normative vigenti ed ai controlli effettuati, non si sono mai registrati incidenti di rilievo. Tenga conto che l’Alto Adriatico, dove operano da anni decine di piattaforme è anche uno dei poli turistico-balneari più attivi del paese.
Esiste certamente il problema delle piattaforme negli altri paesi che si affacciano sul mediterraneo, e in primo luogo nell’Adriatico. Abbiamo da tempo avviato consultazioni con la Croazia su questo tema manifestando nelle sedi ufficiali l’interesse a partecipare alla procedura di Valutazione Ambientale Strategica (VAS) del “Piano e Programma Quadro di ricerca e produzione degli idrocarburi nell’Adriatico” del governo croato, come previsto dalla normativa europea e dal Protocollo VAS alla Convenzione di Espoo sottoscritto nel 2003 a Kiev.
Essere pienamente a conoscenza di quel che si verifica a poca distanza dalle nostre coste, a maggior ragione perché che si tratta di interventi energetici con un potenziale impatto ambientale, era per noi un passaggio irrinunciabile. Per questo ci siamo mossi in ambito europeo ritenendo opportuno un più ampio confronto fra tutti i paesi che si affacciano sull’Adriatico per puntare ad armonizzare le diverse normative e le tutele ambientali in questo settore”.
Siamo in estate, una delle più calde che si ricordino, dilagano gli incendi. Cosa si può fare per evitare che ogni anno, con minore o maggiore intensità, si riproponga la devastazione di boschi e aree di pregio? La Sicilia è la regione che brucia di più e ha il numero di forestali più alto d’Italia, è tollerabile tutto questo?
“Siamo certamente dinanzi a una emergenza che ci allarma particolarmente perché da un lato è alimentata da condizioni meteo particolari con il lungo protrarsi della siccità e di temperature al di sopra della media, ma dall’altro anche da una recrudescenza gravissima di atti criminali come quelli commessi dai piromani, causa della stragrande maggioranza degli incendi di queste settimane. Preoccupa ancora di più il fatto che bersaglio di questi malviventi siano spesso i parchi nazionali e le aree protette, penso al Vesuvio, al Cilento, a Castel Fusano.
Lo stato sta mettendo in campo tutte le risorse e tutti gli uomini, compreso l’esercito, per fronteggiare la situazione. Da parte del Ministero dell’Ambiente ho deciso di destinare 5 milioni di euro per il rimboschimento delle aree colpite dagli incendi. Ogni albero bruciato sarà sostituito e ricrescerà. I piromani devono andare in galera e restarci fino a 20 anni come prevede la legge sugli ecoreati.
La questione dei forestali siciliani è antica e tutta “regionale”. Le vicende di questi giorni la ripropongono all’indignazione dell’opinione pubblica”.