Per giustificare la loro ostilità all’adesione dell’Italia al Mes ‘’sanitario’’ quei settori della politica che stanno tenendo l’Italia in apnea, dopo aver sgranato tutto il rosario delle sciocchezze, giocano il loro asso: perché l’erogazione di quelle risorse non l’ha quasi nessuno dei Paesi membri? Per loro questa è la prova che sotto il programma vi è sicuramente un trucco e che accettandolo saremmo costretti ad adottare, nei nosocomi, il tedesco come lingua ufficiale e a far indossare agli infermieri e ai medici camici tirolesi.
In effetti, se la mancata adesione ha un qualche significato per Francia e Germania (visto che per il loro titoli anche un tasso d’interesse ridicolo come quello previsto per i titoli Mes è più alto di quello che i loro bond sovrani riescono ad ottenere sui mercati), è più difficile capire i motivi del rifiuto di altri Paesi: si vede che hanno delle buone ragioni. Comunque sia, ha ragione Angela Merkel, fra poche ore investita del ruolo di presidente del semestre di turno: ‘’Non abbiamo messo a disposizione degli Stati strumenti come il Mes o Sure perché restino inutilizzati”.
Non si comprende invece la levata di scudi di Giuseppe Conte, che ha rivelato così di nascondere un’enorme coda di paglia sotto la pochette. A questo proposito circola un’altra leggenda metropolitana: come la prima gallina che canta è quella che ha fatto l’uovo, così il primo Paese che chiedesse l’intervento del Mes rivelerebbe le sue debolezze ai mercati e quindi farebbe salire il tasso di interesse con cui colloca sul mercato i propri titoli sovrani. Certo, se diamo credito alla voce che attribuisce una diffusione della pazzia in conseguenza del contagio, riusciamo a capire tutto. Può essere che agli investitori non interessi più un consolidamento della situazione finanziaria del nostro Paese, tanto da consentire, in tempi ragionevoli, di avere un sistema sanitario meglio attrezzato ad affrontare crisi improvvise e devastanti.
Restiamo convinti, pertanto, che l’adesione al Mes fornisca la garanzia di un’Italia più solida e quindi più affidabile anche per i suoi creditori. E se la realtà fosse un’altra? A parte le paturnie del M5S (nella vita capita di incontrare persone che non si siedono a tavola se i commensali sono 13 o cambiano strada se l’attraversa un gatto nero oppure pensano che il Mes sia arrivato sull’onda di una scia chimica), il fatto è che il Governo non saprebbe come spendere il 36 miliardi che gli arriverebbero, sia pure nell’arco di alcuni anni.
Non siamo riusciti a risolvere il problema delle mascherine, l’alcol denaturato – se lo si trova – viene conservato in cantina nelle botti al posto dell’aceto balsamico. Dove è stato possibile gli ospedali hanno trasformato interi padiglioni in terapia intensiva, convertendo le strutture adibite alla cura di altri gravi malattie; sono aumentate le liste di attesa anche per accertamenti indispensabili. Ma soprattutto l’epidemia ha messo in evidenza la fragilità della medicina territoriale e di base. Ed è questa una situazione che renderebbe insostenibile ogni epidemia (anche se si trattasse del ‘’ginocchio della lavandaia’’ l’unica patologia di cui si accorse di non soffrire Jerome K. Jerome, dopo aver consultato un prontuario medico del suo tempo) perché non si può caricare tutto sull’ospedale (come purtroppo accade anche in tempi normali). Occorrono quindi delle scelte politiche e degli investimenti mirati, alternativi alle spinte che l’epidemia ha rimesso in moto: la riapertura degli ospedaletti sparsi nel territorio e chiusi a fatica (contro il parare delle comunità in cui erano allocati) negli ultimi anni, perché inadeguati a qualsiasi tipo di assistenza di un certo impegno terapeutico.
Le strutture sanitarie del Paese – encomiabile il comportamento del personale – hanno retto bene la prima ondata del virus ed oggi sono meglio attrezzate ad affrontare una eventuale ricaduta. Ma dei cambiamenti sono necessari. E costano. Il Mes fornisce la possibilità di affrontare questi oneri a buon mercato. Se poi vi è l’intenzione di ridurre le imposte – a cominciare dall’Irap – sarebbe il caso di tener presente che questa tassa è utilizzata per coprire circa la metà della spesa sostenuta dalle regioni. Disporre allora di entrate sostitutive potrebbe consentire di ridurre quelle ordinarie.
Il vero problema del governo è il suo encefalogramma piatto. La parata degli Stati generali ne è stata la dimostrazione. Il piano inclinato su cui sta scivolando il Paese è quello dell’assistenzialismo, dell’immobilismo, della difesa dai traumi del cambiamento. Non a caso la richiesta dei sindacati – che il governo si appresta ad accogliere – è la proroga della cassa integrazione (si tratta di più di 3 miliardi al mese) e del blocco dei licenziamenti fino a tutto l’anno in corso: una strada quest’ultima, molto insidiosa, dalla quale, più si va avanti e più diventa difficile tornare alla normalità.
In questo modo si finisce soltanto a mettere in terapia intensiva l’economia e a preservare, il più a lungo possibile, posti di lavoro finti. Magari, se ci saranno risorse a fondo perduto (le sole che interessano veramente al governo), lo Stato cercherà anche di garantire alle aziende – tramite agevolazioni fiscali e sussidi di vario tipo – parte del fatturato che non riescono a produrre. Si spiega così l’atteggiamento di riserva che molti partner europei hanno nei confronti del Recovery Fund (o come si chiama adesso) e delle risorse che dovrebbero essere rese disponibili per l’Italia. La questione più grave del BelPaese è quella di avere un governo inamovibile (per tante valide ragioni), ma incapace di esprimere un ‘’pensiero’’ politico compiuto.