X

Il lavoro agile diventa legge: stesse regole e stipendio in ufficio o a casa

Nel 2015 il 17% delle imprese italiane ha dichiarato di aver avviato progetti di smart working, il 14% si dichiara in una fase “esplorativa” mentre un altro 17% ha già progettato iniziative legate a ruoli specifici all’interno dell’azienda. In pratica quasi il 50% delle grandi aziende italiane sta sperimentando lo smart working, un approccio più “agile” all’organizzazione del lavoro. E’ quanto emerge dall’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano. Anche se per le Pmi le cifre di coloro che stanno sperimentando lo smart working si aggirano soltanto intorno al 15%, l’impressione è che qualcosa, sul fronte del lavoro agile, inizi a muoversi anche in Italia. 

E dalla pratica fatta dalle aziende, a breve, si potrebbe passare alla cornice teorica messa a punto dalla politica. Nel mese di novembre, infatti, il Parlamento discuterà un disegno di legge che fissa alcune regole su retribuzione, diritti, doveri, sicurezza e privacy legati ai progetti di smart working. Il governo, tramite il professor Maurizio Del Conte ha predisposto il disegno di legge che a breve potrebbe introdurre anche in Italia il lavoro agile con regole uguali per chi lavora in ufficio o da casa. Rientra nella definzione di smart working il lavoro svolto da un qualsiasi posto diverso dal luogo di lavoro anche per un solo giorno a settimana. 

Il tema non è nuovo per il parlamento italiano. E’ di gennaio 2014 una proposta di legge dell’attuale europarlamentare PD Alessia Mosca, 9 articoli per definire il quadro normativo dello smart working, rimasti per quasi due anni in un cassetto di Montecitorio e portato oggi in discussione dal governo Renzi. 

NUOVO E VECCHIO TESTO

“Già nel decreto Madia di riforma della pubblica amministrazione – sottolinea la prima firmataria Alessia Mosca –  c’erano elementi che manifestavano un’attenzione a questo tema da parte del Governo. Certo, sono rimasta piacevolmente sorpresa anche io quando, leggendo il testo, ho sostanzialmente ritrovato praticamente nella sua interezza il progetto di legge che due anni fa avevo presentato insieme alle colleghe Tinagli e Saltamartini. Immagino che, decidendo di presentare un disegno di legge sul lavoro autonomo, abbiano colto l’occasione per inserire questa innovazione”.
Collegato alla legge di stabilità, il disegno di legge sullo smart working seguirà lo stesso iter di approvazione e potrebbe entrare in vigore già nel 2016. I principi cardine del lavoro agile sono semplici: vengono meno i vincoli legati a luogo e orario lavorativo; il dipendente organizza il lavoro in piena autonomia e flessibilità; acquista maggior importanza la responsabilità personale dei risultati ottenuti. 
Il racconto dell’ideatrice della legge sullo smart working riflette perfettamente l’analisi svolta dall’Osservatorio del Politecnico di Milano: “Nel lungo lavoro che ha portato alla stesura della nostra proposta abbiamo fatto diversi incontri con le parti potenzialmente coinvolte da questo cambiamento. Le aziende più grandi sono sembrate più a loro agio con la possibilità di introdurre lo smartworking per i propri dipendenti, mentre le più piccole hanno mostrato maggiori dubbi. Credo sia normale. La maggiore preoccupazione era relativa al superamento del telelavoro (e, quindi, della postazione fissa di lavoro da remoto): questo creava problemi sul piano dell’assicurazione ed esponeva i datori di lavoro a potenziali cause che non potevano permettersi. Ho apprezzato che questo problema sia stato affrontato e risolto nella proposta del Governo”.
UN CAMBIO DI MENTALITA’

“Detto questo, in tutta onestà – continua l’eurodeputata Mosca – io credo che l’ostacolo più grande sia il necessario cambiamento di mentalità: l’idea di non poter controllare il lavoratore, verificare a che ora entra e a che ora esce dall’ufficio, deve lasciare spazio a un nuovo rapporto di fiducia tra lavoratore e datore di lavoro. L’idea è creare un passaggio dal lavoro “a timbratura di cartellino” a un lavoro per obiettivi. Sembra una cosa da poco ma in realtà è una rivoluzione copernicana: si argina il lavoro “emergenziale” e si rende necessaria una maggiore organizzazione complessiva, definire progetti e procedure in modo che i dipendenti possano essere valutati in base ai risultati che ottengono sui progetti a loro assegnati, piuttosto che in base alle ore passate in ufficio”.

Il pilastro centrale dello smartworking deve essere un  nuovo rapporto di fiducia tra datore di lavoro e dipendente. Per questo motivo la stessa madrina della legge si dichiara contraria a sistemi di controllo a distanza sui lavoratori da parte della aziende. “Questo strumento – prosegue Mosca –  deve servire per contribuire a cambiare la cultura aziendale e stimolare la creazione di una nuova relazione di fiducia tra lavoratori e datori di lavoro. Capisco anche l’esigenza di procedere per piccoli passi ma mi auguro che, nel caso fossero presenti, queste modalità di controllo possano gradualmente essere rimosse. O, ancora meglio, rivelarsi inutili”.
 
AZIENDE E DIPENDENTI, NO PARTITE IVA

“Il lavoro smart può essere utilizzato – spiega l’onorevole Mosca – in generale, per tutti i lavori di concetto che non richiedono una presenza fisica nel luogo di lavoro. Chiaramente, i lavori “figli” della rivoluzione digitale si prestano in modo particolare. Questa proposta riguarda il settore privato ma indicazioni simili (anche se non uguali) erano contenute nel Dl Madia. Ci tengo a ricordare, peraltro, che molte PA hanno già attivato progetti sperimentali di smart working: durante la fase di preparazione della legge ci siamo confrontate con la Provincia di Trento, che rappresenta una best practice, ma so che oramai sono sempre di più in tutta Italia”.
I 9 articoli del disegno di legge sullo smart working intervengono su alcuni temi centrali come gli infortuni sul lavoro o la privacy, ma in sostanza rappresentano un quadro normativo flessibile che lascia spazio alla contrattazione collettiva, ma anche a semplici accordi scritti tra dipendente e datore di lavoro. 
Per la prima firmataria della legge sullo smartworking il messaggio più importante da veicolare alle aziende italiane è che con questa tipologia di lavoro flessibile a guadagnarci sono sia i dipendenti che i datori di lavoro: “I dipendenti guadagnano tempo, flessibilità e – probabilmente – salute, i datori di lavoro ne guadagneranno in produttività: esistono dati molto chiari su questo, ricavati da esperienze di smart working già attivate in Italia o all’estero”.

IL NODO INCENTIVI

A differenza del vecchio telelavoro che a prima vista potrebbe sembrare simile allo smart working, questa nuova tipologia di lavoro è molto più flessibile. Per il telelavoro è necessario indicare all’organizzazione la postazione fissa da cui si lavora, dove devono essere fatte tutte le verifiche di sicurezza, mentre per lo smart working basta avere un device e una connessione internet ed è possibile lavorare da qualunque postazione: il bar con il wifi davanti alla piscina del proprio figlio, ad esempio, o persino dall’estero.

Sulla proposta di legge messa a punto dal governo restano ancora dei nodi da sciogliere. Uno di questi riguarda gli incentivi pensati per spingere le aziende ad adottare lo smart working. “Nella nostra legge – sottolinea Mosca –  li avevamo previsti, sì, proprio per convincere i diffidenti a sperimentare lo strumento. Purtroppo credo che non siano previsti dalla proposta del Governo”.
Related Post
Categories: Interviste
Tags: LavoroSmart