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Il Jobs Act è un passo avanti ma non basta: quattro punti ancora da chiarire

Il seminario Fondazione Kuliscioff-FIRSTonline ha messo in luce che la delega non definisce con chiarezza i contorni dei decreti delegati sulla riforma del mercato del lavoro anche se il Governo ha avuto coraggio – Il reintegro per motivi disciplinari riduce la portata dell’innovazione e vanno chiarite rappresentanza, salario minimo e contrattazione

Il Jobs Act è un passo avanti ma non basta: quattro punti ancora da chiarire

La delega al governo per riscrivere una parte importante delle norme sul lavoro non definisce con chiarezza i contorni di quelli che saranno i decreti delegati per cui l’efficacia della riforma del mercato del lavoro, dipenderà da come verranno sciolti molti nodi apparentemente di dettaglio ma che sono di fondamentale importanza per l’impatto che la riforma avrà sul lavoro e sulla possibilità di recupero di competitività del sistema.

Organizzato dalla Fondazione Anna Kuliscioff e da Firstonline, si è tenuto nei giorni scorsi a Milano un seminario di esperti per una valutazione tecnica della delega e per fornire indicazioni su come poi scrivere i decreti delegati. Walter Galbusera, in quanto presidente della Fondazione, ha aperto il confronto sottolineando alcuni aspetti ancora nebulosi a cominciare dal funzionamento della istituenda Agenzia del Lavoro a cui viene attribuito un ruolo fondamentale nelle politiche attive del lavoro, ed alle questioni di convivenza tra il contratto a tutele crescenti ed i contratti a termine appena liberalizzati dal ministro Poletti e che stanno dando risultati apprezzabili.

Paolo Rebaudengo, ex dirigente Fiat dove per molti anni ha avuto la responsabilità delle Relazioni Industriali, ha sottolineato che si potrà parlare di vera svolta solo se saranno sciolti almeno quattro nodi principali . In primo luogo non ci deve più essere il reintegro a parte i casi di discriminazioni gravi. Aver dichiarato di prevedere il reintegro anche per le violazioni disciplinari di fatti vanifica qualsiasi innovazione sostanziale perché si riaffida la decisione alla discrezionalità dei giudici. In secondo luogo bisogna definire con precisione le regole per la rappresentanza in quanto nella situazione attuale gli imprenditori non sanno mai bene con chi devono trattare.

Ed il protocollo firmato già due anni fa da sindacati e Confindustria, si sta dimostrando inapplicabile. In terzo luogo occorre istituire il salario minimo non solo per chi non ha un contratto nazionale, perchè su questa soglia si possono calcolare tutti gli istituti che si parametrano alla retribuzione di base. Infine occorre dare la preferenza alla contrattazione aziendale perche’ solo in azienda si può fare lo scambio salario produttività e quindi si avrebbe un vantaggio sia per l’impresa che per il lavoratore.

Su questi punti si è acceso il dibattito con molte e circostanziate critiche da parte del prof. Francesco Forte che ha giudicato il provvedimento del governo sbagliato perché non si occupa delle vere questioni del lavoro e di preoccupante perché affronta in maniera confusa i temi di cui si occupa. Graziano Gorna, responsabile della Camera del Lavoro di Milano, ha condiviso le osservazioni del prof Forte sul rischio di strumenti  troppo centralizzati che schiaccerebbero le autonomie locali dove invece si hanno le vere conoscenze del mercato del lavoro.

Dopo aver riaffermato le classiche posizioni della CGIL sulla inutilità di affrontare i temi del mercato del lavoro in quanto a suo parere la ripresa dell’economia verrà solo dagli investimenti e quindi è in questo che il Governo deve concentrare le risorse, ha condiviso la necessita di una legge sulla rappresentanza da fare come quella del pubblico impiego mentre anche la riforma della PA a suo parere, andrebbe fortemente decentrata per ancorarla al territorio. Benedetta Cosmi della CISL si è soffermata sulla necessità di evitare discriminazioni tra vari tipi di contratti, mentre Gianfranco Borghini ha ribadito le osservazioni già espresse di recente in un articolo su FIRSTonline.

Di Maulo, segretario Fismic, ha giustamente sottolineato che la velocità è in questa situazione di paralisi degli investimenti fondamentale. L’incertezza è la principale nemica dell’impresa specie quella istituzionale che è al di fuori del controllo dell’imprenditore. In secondo luogo Di Maulo ha sottolineato la necessità di recuperare un rapporto effettivo tra tipo di lavoro e salario, e che comunque serve anche un ritocco del codice civile per rendere effettiva l’eliminazione dell’art 18. Infine è intervenuto il prof Marco Leonardi che ha collaborato con il Governo per mettere a punto la riforma del lavoro.

A suo parere la questione del mantenimento dell’art 18 per i licenziamenti disciplinari, sarà normata in modo tale da rendere il più ristretta possibile la discrezionalità dei giudici; ci sarà una chiara preferenza per la contrattazione di secondo livello rispetto ai contratti nazionali. Bisognerà affrontare anche il nodo della rappresentanza se le parti non troveranno un accordo soddisfacente e funzionante, mentre per quel che riguarda l’Agenzia per l’occupazione ed i centri per l’impiego si farà un decentramento basato proprio sulle convenzioni con i privati.

E’ chiaro che in queste questioni cosi complesse del mercato del lavoro il diavolo si annida nei dettagli. Tuttavia tutti concordano nel riconoscere coraggio e lungimiranza al governo nel prendere di petto questo tema anche se esso provoca lacerazioni (spesso strumentali) proprio nel partito del Presidente del Consiglio e nei sindacati ” di sinistra”. L’ obiettivo è chiaro: contribuire al recupero di competitività (insieme agli sgravi fiscali) ma per riuscire nell’intento la riforma deve essere realmente innovativa e non solo di facciata ed affrontare anche i problemi della rappresentanza e della contrattazione decentrata che Renzi ha posto sul tavolo nell’incontro con i sindacati.

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