Dalla Sicilia al Friuli Venezia Giulia è un lungo viaggio a piedi che percorre la penisola in tutta la sua lunghezza lontano mentalmente dai percorsi nevrotici, affannati, sempre in lotta con lo spasimo del ticchettio dell’orologio imposti dai ritmi della vita moderna, quello che Irene Pellegrini e Barbara Gizzi propongono ne “il Gusto di camminare” – Itinerari enogastronomici lungo il sentiero Italia Cai” che arriva nelle librerie per Slow Food Editore.
Pellegrini e Gizzi, la prima sociologo della migrazione e della mobilità umana e guida ambientale escursionistica, la seconda esperta di progetti di sviluppo territoriale e impegnata nel Destination and project management della montagna, per scrivere questo libro hanno attraversato l’Italia alla ricerca di quelli che possono essere definiti i “cibi del silenzio”, ovvero i prodotti e le tradizioni gastronomiche che si sono sviluppati lontani dal frastuono della società del benessere spinto e – aggiungono con efficace definizione – dell’ingordigia, alla ricerca di un mondo creato in millenni di cultura, un mondo nomade in eterno movimento fatto di scambi, migrazioni, conflitti, transumanze, un prezioso universo ricco di simboli, di miti, di ritualità. Un mondo nel quale la gastronomia più straordinaria può nascere anche dalla fame, come il couscous siciliano, oggi elevato a piatto gourmet, per secoli rifiutato dalla nobiltà sicula perché ritenuto troppo umile per apparire sulle tavole accanto alle pietanze dei potenti, come le acciughe piemontesi, nate dall’ingegno di scaltri contrabbandieri dell’alta Val Maira che per non pagare le pesanti gabelle dello stato sul sale ponevano in superficie uno strato di acciughe , cibo umilissimo, divenuto poi ingrediente fondamentale di tanti piatti di alta gastronomia piemontese; lo zafferano grecanico, o il tortellino toscano dall’accento tedesco che affonda le sue radici negli ultimi decenni del X secolo allorché i cittadini del comune di Corezo, avamposto della linea difensiva bizantina dall’avanzata longobarda appresero dagli invasori e fecero propria la consuetudine di cuocere sulla pietra rovente tipi diversi di impasti a base di acqua e farina , una sorta di street food facilmente trasportabile durante gli spostamenti.
Il provolone del monaco che non nasce in convento ma dai sacchi che proteggevano i casari in viaggio via mare a Napoli di notte
E si può proseguire passando per i monti Lattari, il granaio dei romani, con l’avvincente racconto del Provolone del monaco di antica , antichissima fattura, ma che deve il suo nome all’esplosione demografica e urbanistica che interessò Napoli meta del Grand tour nel 700 e che indusse gli allevatori delle campagne a spostarsi verso i Monti lattari. La distanza dalla città e la natura impervia delle vie di comunicazione costrinsero i casari a raggiungere Napoli per mare di notte, quando freddo e umido, per non esporre i formaggi agli effetti dei raggi solari, i casari si bardarono dalla testa ai piedi con un sacco spesso di iuta, molto simile al saio dei monaci, fu così che la gente al mercato cominciò ad annunciare l’arrivo del provolone dei monaci. Quel provolone che oggi è alla base di uno dei piatti più rinomati della costiera Sorrentino-amalfitana: gli spaghetti alle zucchine di Nerano. E si arriva al Veneto delle infinite varietà di Tiramisù e poi in Trentino Alto Adige per la Gubana una e trina, quella delle Valli del Natisone, quella di Cividale del Friuli, quella goriziana. Storie gastronomiche di confine attraverso il quale è trascorsa anche larga parte di storia italiana.
L’acqua di colonia nata in Francia ma con il Bergamotto dell’Aspromonte portato da un commerciante siculo
Ma passando per questi sentieri, vere e proprie nicchie di un’Italia nascosta annidate ai confini delle terre dell’abbandono o ai margini degli spazi intasati dal turismo di massa, si scoprono anche tante altre cose che oltrepassano i nostri confini. Come, ad esempio, che l’acqua di Colonia che conquistò l’Europa partì dagli alberi del bergamotto ai piedi dell’Aspromonte grazie ad un emigrante siculo, Procopio Dei Coltelli che arrivato a Parigi alla corte del Re Sole ebbe l’idea di promuovere le intense fragranze dell’acqua di bergamotto, di cui aveva fatto provvista durante il viaggio, per combattere i fetidi miasmi provocati alle epidemie di colera e di peste che assillavano la Ville Lumiere. Il Re apprezzò e l’industria profumiera fece il resto. Non solo. Procopio assecondò anche la propensione per i peccati di gola del sovrano realizzando un gelato all’essenza di Bergamotto, che piacque a tal punto al Re che gli concesse di aprire un caffè nella capitale per rifornire la corte dei suoi succulenti gelati. Quel caffè, il Caffè Procope è ancora oggi a Parigi meta imperdibile dei viaggiatori.
Il libro di Irene Pellegrini e Barbara Gizzi è una miniera inesauribile di informazioni sui luoghi di elezione di prodotti enogastronomici identitari come Marsala per il suo vino, Roma per la carbonara, Amatrice per l’amatriciana, Mammola per il pesce stocco, Navelli per lo zafferano, grazie a un certosino lavoro di ricerca per cui nel loro peregrinare sono andate alla ricerca di cuochi, albergatori, agricoltori, pastori, escursionisti, e altri testimoni per raccontare il rapporto tra lo spostamento l’escursionismo e la gastronomia. Il resoconto del viaggio è una storia che racconta di migrazioni, di carte nautiche, di transumanze, di passi di montagna, di mercanti, di esploratori settecenteschi che poi alla fine confluiscono sulla tavola.
Mangiare e camminare – spiegano le due autrici – sono bisogni istintivi ai quali l’essere umano ha attribuito lungo il corso della sua storia significati culturali. Prima si è spostato per trovare cibo, dopo ha iniziato a cucinare. Ma questi libro invita a camminare anche per conoscere storie e vicende di un’Italia nascosta ai più ma oltremodo vitale.